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*

Ó Arch. Franco Della Rosa

 

TUTTI I DIRITTI DI RIPRODUZIONE SONO RISERVATI AL CURATORE DELL’OPERA

 

N.B. Nella versione web sono omesse le foto e le note.

 

1 - in copertina: immagine di Stelvio attuale ripresa dal sentiero per i masi di Piazza

(al centro l'abitazione dell'autore).

 

 

 

In memoria

dell’amico

Francesco Fortunati

 

*

Egregio Dottore,

La ringrazio cordialmente per la Sua generosità di spedirmi

una copia del Suo bellissimo e ricco libro sul paese di Stelvio.

Con il suo libro Lei si merita di essere mediatore fra le culture e le regioni.

Penso, che l'Europa possa unirsi, se gente come Lei cerca di far comprendere

ai forestieri un'antica cultura montana.

 

Distinti saluti

Prof. Rainer Loose

 

D-Mössingen - 28 aprile 1997

*

Non so se si ricorda di me, tempo fa le avevo chiesto di spedirmi il libro su Stelvio.
Poi mi sono finalmente insediato a Trafoi con un piccolo appartamento ...
L'ho citata nella parte dell'Introduzione, spero non ne abbia a male.
Se avesse da darmi consigli o farmi critiche. Accetto tutto.

"... L'ispirazione per un sito web è nata da: "Stelvio - Compendio di notizie"

(Stelvio - Gomagoi - Trafoi - Solda) di Franco Della Rosa del Gruppo Ricerca Fotografica,

a cui ho dedicato anche un link (Stelvio ... notizie).
Ho potuto notare con quanta cura e passione il signor Della Rosa

ha scritto una raccolta di notizie su questa valle.

Dopo una breve introduzione di Gustav Thöni,

l'autore presenta un'infinità di cose meravigliose ascoltate dagli abitanti o ricercate negli archivi storici.
In questo libro troverete aspetti geologici, storici, culturali; tradizioni e leggende di questa bellissima valle.

Il libro lo potete trovare on line al sito di cui sopra.
Ora mi permetterà l'autore di citare questa sua frase:

"Quale assiduo ospite di questi luoghi, insieme alla mia famiglia,

ho ritenuto doveroso ricambiare con questo scritto ai piacevoli e frequenti soggiorni che qui trascorro".
Oggi questa frase rappresenta un po' anche me: quale assiduo ospite di questi luoghi,

insieme alla mia famiglia, dal 1971 fino al 2002, ma che dal 2009 ho ripreso a frequentare da solo,

ho ritenuto doveroso ricambiare con questo "sito web" ai piacevoli e,

proprio dal 2009, frequenti soggiorni che qui trascorro!
Nonostante l'invito a leggere il libro del signor Della Rosa

(vi assicuro che anche lui non mi ha pagato nulla per questa pubblicità,

ma quando una cosa è fatta bene bisogna dirlo) al fine di conoscere questa valle e,

non solo per una decina di giorni di vacanza, ma in modo molto più approfondito

(cosa che potete fare anche da casa, prima di partire); ..."

 

http://www.trafoi.net/Introduzione.htmL

 

Distinti saluti

Roberto Carannante

 

Genova, 5 settembre 2009

 

 

*

 

 

INTRODUZIONE

 

 

Sono lieto di poter mettere le mie modeste parole

in un libro sul mio comune di "Stelvio"

e in particolare anche, del mio amato paesino nativo

"Trafoi" che gli fa parte.

Mi congratulo con il signor Della Rosa

e lo ringrazio per questa opera,

che porterà a conoscenza il nostro paesaggio

di montagna e l’ambiente in cui viviamo,

in un modo più profondo che i comuni

prospetti turistici.

Le foto illustrano anche con quali fatiche

e quanto sudore e tenacia gli abitanti

hanno coadiuvato a trasformare

questo ruvido ambiente in un parco:

il "Parco Nazionale dello Stelvio".

 

 

Gustav Thöni

 

L'autore con la moglie Valeria e i figli Jacopo, Chiara, Manno e Lisa.

 

(Val Venosta - agosto 1993)

 

*

 

PRESENTAZIONE

 

 

Alcuni anni fa l’architetto Franco Della Rosa

ha trovato a Stelvio un nuovo "piccolo focolare".

 

Presto si è trovato bene con la terra e la gente

che hanno suscitato in lui l’interesse

sia per la storia e lo sviluppo del paese

che per la flora e la fauna,

proprio come un vero "Stilfser",

cioè un abitante di Stelvio.

 

Le sue ricerche e raccolte ora sono

presentate in un libro.

Gli sono molto grato per questa sua iniziativa,

fino adesso esistono solo poche pubblicazioni

in lingua italiana sul paese di montagna

retoromano Stelvio e dei suoi abitanti.

 

Mi auguro che questo libro possa contribuire

ad avvicinare e far conoscere ai concittadini

di lingua italiana questo territorio.

 

 

IL SINDACO

Hofer cav. Josef

 

 

  

 

 

Val Pusteria - Vandoies di Sopra famiglia Engl-Mair e Della Rosa - 28 agosto 1989

Stube del Maso della gentile famiglia Engl-Mair - Untermoarohof - dicembre 2002

 

 

PREFAZIONE

 

 

    L’intento di raccogliere e pubblicare notizie su questa terra altoatesina scaturisce dalla volontà di fornire almeno un compendio di notizie locali, oggi assente, da dedicare prevalentemente agli ospiti di lingua italiana che, specie nella stagione estiva, raggiungono il paese di Stelvio e le incantevoli località del suo Comune.

Quale assiduo ospite di questi luoghi, insieme alla mia famiglia, ho ritenuto doveroso ricambiare con questo scritto ai piacevoli e frequenti soggiorni che qui trascorro.

Quella altoatesina è una terra ricca di bellezze naturali e di insediamenti storici ben ambientati ove, purtroppo, nonostante una lunga e ben radicata tradizione del "buon gusto", iniziano a comparire previsioni urbanistiche, "creazioni architettoniche", materiali da costruzione e coloriture di edifici "d’importazione" germanica completamente estranei alla cultura sudtirolese che snaturano le peculiarità del luogo avviando un processo che rischia di compromettere la spiccata identità dei luoghi.

Pari rilevanza riveste la cordialità della popolazione venostana che seppur eterogenea nelle origini, dovute anche all’importante via di transito dell’antico valico europeo di Resia, risalta per l’ospitalità e l’attaccamento all’impervia montagna.

Il testo raccoglie dati e studi di più provenienze, editi prevalentemente in lingua locale, che cortesemente i rispettivi autori mi hanno concesso di utilizzare, tra questi ho il dovere di ringraziare sentitamente l’archeologo Sig. Alberto Alberti di Laives per la "carta archeologica" dell’Alta Venosta, Don Josef Hurton, parroco di Solda, per le notizie pubblicate nelle due ultime edizioni dell’interessante libro su Solda, il cortese Dr. Rainer Loose per l’approfondimento storico-archivistico redatto sul paese di Stelvio, Don Oswald Kuenzer, parroco di Stelvio per le notizie sulle chiese locali, la Provincia Autonoma di Bolzano e l’Istituto Provinciale di Statistica per i dati sulla storia contemporanea e sul territorio venostano, la Signora Leopoldina Merci Rizzardi per l’utilizzo dell’affascinante testo del marito Lucillo: "Le più belle leggende dell’Alto Adige", la Signora Piera Gorfer Trentini per la "vissuta descrizione" dei Klosen di Stelvio tratta dall’opera "I segni della Storia", composta dal marito Aldo, il cordiale insegnante Sig. Matthias Thöni, zio del campione mondiale di sci Gustav, a cui si devono alcune significative fotografie storiche del posto qui riprodotte, la studentessa Simone Engl di Vandoies per l’aiuto prestato in alcune versioni nella lingua italiana nonché la traduttrice Sig.na Brigitte Stanglmeier di Monaco per il lavoro specialistico operato sul testo del Dr. Loose, e non ultimo il Cav. Josef Hofer, Sindaco di Stelvio per il sostegno alla ricerca, la collaborazione prestata e le utili notizie fornite nel percorso di preparazione di questa opera.

 

 

Franco Della Rosa

 

 

 

2 - Stelvio: vista del paese circa negli anni ‘20.

 

 

* I testi specificatamente redatti per questa pubblicazione portano il nome dell’Autore in testa al paragrafo.

 

*

 

STELVIO

 

 

 

Con le seguenti parole, poi riprese da vari autori in varie circostanze, viene descritta dal Poli, nel 1927, la prima immagine ravvicinata del paese di Stelvio:

"Dopo un breve tratto pianeggiante oltre Prato, la camionabile, serpeggiando a destra e a sinistra del torrente Solda, conduce in alto fra il rumore delle acque che flagellano e corrodono profondamente le pareti franose e friabili dei monti, travolgendo piante e terriccio. La valletta angusta, incassata fra gigantesche bastionate, non lascia scorgere che un piccolo tratto di cielo sovrastante. Stelvio (m. 1311, ab.1526) con le sue case appiccicate alla ripida parete montana, alla sinistra del torrente, ci guarda dall’alto", quasi a controllare la stretta valle.

Il Paese nei secoli passati ha avuto maggiore importanza in particolare quando erano attive le miniere di rame. Da quel periodo presero il nome la Valle, la Strada ed il Passo seppur lontano dall’abitato.

Proseguendo a salire s’incontra, all’altezza della località Gomagoi (1273 m.), la deviazione a destra per il paese di Stelvio e poco dopo, a sinistra quella per Solda (1905 m.), rinomata località turistica ricca di notevoli impianti sciistici utilizzati sia d’estate che d’inverno.

"La strada dello Stelvio da Gomagoi sale a Trafoi (1543 m.), altro famoso centro turistico alpino, in vista delle luccicanti distese dei ghiacciai dell’Ortles.

La conquista della montagna più alta del Tirolo (e allora di tutto l’impero austriaco) fu caldeggiata dall’arciduca Giovanni d’Austria. La cima (3902 m.) fu scalata nel 1804 da Josef Pichler, cacciatore di camosci della Val Passiria, partendo da Trafoi; per quei tempi fu un’impresa arditissima e memorabile.

Il paese è ben attrezzato per gli sport invernali ed è patria di Gustavo Thöni, uno dei campioni di sci più famosi degli anni settanta, vincitore di medaglia d’oro alle Olimpiadi e della Coppa del Mondo ripetutamente."

 

 

 

 

3 - Stelvio: vista da ponte Stelvio.

Acquatinta di Johann Jakob Meyer.

Zurigo, 1831.

 

*

 

GEOLOGIA E AMBIENTE

 

 

Come è noto, le Alpi costituiscono una zona di corrugamento della crosta terrestre nella quale si alternano rocce di età e di natura molto diversa: cristalline, vulcaniche, sedimentarie.

L’attuale sistema alpino è caratterizzato da corrugamenti e ripiegamenti della crosta terrestre dovuti alle spinte, dirette principalmente da sud verso nord, verificatesi in parecchi milioni di anni, essenzialmente durante l’Era terziaria. Il risultato di questo processo, che è stato assai più complesso di quanto non sembri e che ha coinvolto le vaste masse continentali dell’Europa e dell’Africa (quelle che i geologi chiamano "zolle"), con una tipica struttura di accavallamento detta "a falde di ricoprimento". La presenza di vaste linee di frattura, sia longitudinali (cioè parallele alla direzione delle catene), sia trasversali, ha ulteriormente favorito i processi erosivi consentendo l’escavazione di ampi solchi vallivi (che in Alto Adige corrispondono alla Val Venosta e alla Val Pusteria, come esempio di valli longitudinali, o alla media Valle dell’Adige e alla Valle dell’Isarco come esempi di valli trasversali).

La varietà dell’articolazione orografica e morfologica contraddistingue il rilievo della regione altoatesina, che oltre ad essere legata alla sua costituzione geologica e alla struttura tettonica, risalta per il modellamento operato successivamente dai ghiacciai, dai corsi d’acqua e dagli altri agenti dell’erosione.

Prevalgono in zona gli scisti cristallini che formano la massima parte anche del Gruppo dell’Ortles-Cevedale, sino ai 2500 m., nonché le cime tra il Gran Zebrù e lo Stelvio.

"Le montagne venostane si elevano quasi tutte a grande altezza e con forme più o meno slanciate ed affilate secondo il grado di compattezza e di resistenza delle rocce costituenti.

I versanti delle valli sono generalmente ripidi, spesso scoscesi, ma comunque a dolce declivio; i terrazzamenti sono rari ed esigui, gli altipiani mancano del tutto. [...] Per quanto riguarda il paesaggio della Val Venosta, si può ben dire che questa è la più spaziosa e solenne fra le vallate altoatesine. Più che alla larghezza effettiva del fondovalle, che non eguaglia in media quella della restante Val d’Adige fino a Salorno, ci riferiamo a quell’impressione di spazialità maestosa e tridimensionale che in Val Venosta sembra quasi il risultato della larghezza moltiplicata per l’altezza dei versanti e delle cime e per la lunghezza del ciclopico solco, certo uno dei più grandiosi delle Alpi italiane. Del tutto diverso è il paesaggio delle convalli, a causa soprattutto della loro generale e talvolta estrema ristrettezza. In esse tutto è più severo, nonostante l’alpestre bellezza di molti luoghi idilliaci e pittoreschi."

 

 

 

4 - Il vecchio rifugio Città di Milano (costruito nel 1875).

Sullo sfondo il ghiacciaio di Solda e il Gran Zebrù.

 

*

 

ARCHEOLOGIA A STELVIO

 

Alberto Alberti

 

 

 

 

La valle del Solda e del Trafoi con il giogo di Stelvio (m. 2758) è una importante via di comunicazione est-ovest (valli atesine - vallate lombarde) probabilmente frequentata fin da epoche molto antiche.

Le prime sicure testimonianze di insediamenti stabili (Caschlin, Weiber) risalgono all’età del Bronzo (2150-1200 a.C.), soprattutto antica e media.

Nell’età del Bronzo finale (1200-1025 a.C.) e nella successiva età del Ferro antica (1025-600 a.C.), cioè nell’ambito della cultura di Luco-Meluno, alcuni siti particolarmente adatti vennero utilizzati come abitati (Caschlinboden, Weiberbödele, Patleiboden). Altri posti vennero adibiti a luoghi di culto all’aperto, legati alle acque: torrenti (Valnair, Tramantan e Solda) ove si gettavano offerte di armi (asce, punte di lancia) e oggetti (anelli, statuine), fonti (Tre Fontane, Bagni Vecchi di Bormio) o un colle (Opferknott).

Particolare importanza ebbe la valle e il passo attorno al V sec. a.C., con collegamenti con il mondo etrusco-italico (si vedano la stele di Bormio e la statuina di Stelvio raffiguranti entrambe guerrieri). É interessante notare come al di qua e al di là del passo Stelvio siano esistite in epoca protostorica popolazioni appartenenti allo stesso ceppo etnico, quello dei Reti, e aventi un nome simile: Venostes in Val Venosta e Vennonetes in Valtellina.

Lo stesso toponimo Stelvio / Stilfs (< stelva) sembra essere di origine preromana.

La valle di Trafoi e tutta la Venosta vennero conquistate dai Romani nel 15 a.C. e vennero aggregate alla provincia della Rezia con capoluogo Coira. Pur continuando a svolgere un importante ruolo di collegamento (limitato solamente alla stagione estiva) tra Venosta e Valtellina, in epoca romana essa fu poco frequentata stabilmente.

Nell’VIII-IX sec. venne fondata una corte carolingia, chiamata Melanz, su cui sorse successivamente Stelvio, ma solamente con il medioevo (XII-XIII sec.) riprese il popolamento della vallata, sotto l’egida dei vescovi di Coira, il cui dominio era diretto erede della provincia romana.

 

 

Schema dei siti archeologici per periodi

(insed. = insediamento, l.c. = luogo di culto).

 

 

località

età del Bronzo

(1700 - 1025 a.C.)

età del Ferro

(1025-15 a.C.)

età romana

(15 a.C.

 

antica

media

recente

finale

antica - media

I sec. d.C.)

 

Weiber

insed.

insed.

insed.

 

 

 

 

Cashlin

insed.

insed.

 

insed.

insed.

 

insed. ?

Gomagoi

 

 

l.c.

 

 

 

 

Valnair

 

 

 

l.c.

 

 

 

Tramantan

 

 

 

 

l.c.

 

 

Ponte

 

 

 

 

 

l.c.

 

Bormio

 

 

 

 

 

l.c.

 

 

CARTA ARCHEOLOGICA

 

 

1. Prato allo Stelvio - torrente Valnair.

Punta di lancia in bronzo (fig. 3,1) dell’età del Bronzo finale (XII-XI sec. a.C.).

2. Prato allo Stelvio.

Diverse sepolture medioevali, senza corredo eccetto qualche gancetto da busto in rame, probabilmente riferibili ad una epidemia di peste.

3 - Stelvio- torrente Solda (presso la Schwarzen Wand).

Ritrovamento del 1870.

Statuina in bronzo (fig. 4,1) raffigurante un guerriero (V sec. a.C.), d’importazione etrusca (misure: alt. tot. 13,7, base 1,7 cm) facente parte come cimasa di un candelabro.

4. Stelvio - torrente Solda (presso il Ponte di Stelvio).

Ritrovamento del 1960 c.

Statuina in bronzo raffigurante un guerriero.

5. Stelvio - Ponte.

Probabili miniere e forni fusori preistorici.

Reperti: scorie ferrose, ceramica bruciata.

6. Stelvio - Caschlinboden (m 1432). Scoperto nel 1914 da H. Waschgler.

Insediamento dell’età del Bronzo (antica e media) e della antica età del Ferro e romano.

Il toponimo ebbe origine in epoca medioevale da una antica tradizione orale che tramandava l’esistenza di un piccolo castello (castellum > Castlin > Caschlin), inteso come abitato fortificato.

Reperti: elemento di falcetto in selce, concotto, cocci di vasi (fig. 2,13-21), spillone in osso, ossa animali, fibula romana (dat. 15 a.C.-15 d.C.) profilata in bronzo (fig. 3,3).

7. Stelvio - torrente Tramantan Ritrovamento del 1908 di H. Waschgler.

Ascia (fig. 3,2) e anello digitale in bronzo, della antica età del Ferro (ca. VII sec. a.C.).

8. Stelvio - Weiberbödele (m 1230). Scoperto nel 1907 da F. Innerhofer, altri ritrovamenti 1914. Insediamento dell’età del Bronzo (antica e recente). Reperti: cocci di vasi (fig. 2,1-12).

9. Gomagoi - torrente Solda (presso Ponte Alto).

Ritrovamento del 1914. Ritrovamento sporadico di una ascia in bronzo ad alette mediane, dell’età del Bronzo recente (XIII sec. a.C.).

10. Stelvio - Opferknott (m 1495). Scoperto nel 1949 da J. Pardeller. Probabile luogo di culto preistorico.

11. Stelvio - Patleiboden (m 1583). Scoperto nel 1946 da J. Pittscheider. Probabile insediamento preistorico.

12. Stelvio - Trafoi, santuario alle Tre Fontane (m 1607). Probabile luogo di culto preistorico delle acque. Dal 1229 venne riscoperto come luogo di culto cristiano e solo nel 1645 venne costruita la prima cappella.

Il toponimo Trafoi deriva infatti da questo santuario delle tre fonti (tre fulio> 1304 Traful, 1327 Trefulio, ecc.).

13. Bormio - S. Vitale (SO).

Ritrovamento sporadico del 1944). Stele (fig. 4,2) in serpentina verde (misure: alt. 34, larg. 31, sp. 6 cm; dataz. II metà del V sec. a.C.).

La scena è suddivisa in 2 fasce a loro volta divise da 2 cornici: la prima cornice è a zig zag orizzontale, la seconda a X.

La prima fascia raffigura almeno 3 guerrieri. Il I (da sin.) probabilmente rivolto verso sin. brandente un coltellaccio (tipo kopis etrusco); il II rivolto verso des., vestito con maglietta e pantaloncini decorati a rombi, calzari e con coltello alla cintola che suona un corno ricurvo; il III posto di fronte sopra un podio (forse una divinità guerriera), indossante calzari e un elmo con corna (tipo Negau alpino) e coperto in gran parte da uno scudo a pelle di bue esternamente concavo con umbone fusiforme. In mezzo alle ultime due figure ci sono conficcate a terra una lancia con punta costolata a cui è appeso uno scudo circolare, con umbone fusiforme e decorazione inquartata a 3 occhi di dado (ognuno a 4 cerchietti concentrici) e motivi a quadri, e un’insegna con puntale.

L’insegna è composta da 2 estremità contrapposte e terminanti a ricciolo, in mezzo una punta traforata a doppio rombo su cui è conficcata una figura di pesce. Sotto a questi elementi pendono 2 altri elementi con anellini.

Della II fascia è conservato solo un elmo crestato di guerriero e tracce di un cerchio (?).

La raffigurazione si riferisce ad una scena di battaglia, con la presenza sul campo di una probabile statua di divinità guerriera. Potrebbe quindi appartenere ad un monumento commemorativo, più che ad uno funebre collocato in un luogo di culto locale.

La presenza di un’insegna a tridente con pesce potrebbe far pensare invece ad una divinità legata alle acque; presso Bormio, all’inizio della salita per passo Stelvio, esistono in località Bagni Vecchi (m 1425) delle fonti di acqua calda.

 

 

5 - Fig. 1 - Carta con i siti (Carta d’Italia 1:100.000.

IGM 1967, f. Monte Cevedale).

6 - Fig. 2 - Reperti ceramici da Weiberbödele (1-12)

e Caschlin (13-21) dell’età del Bronzo.

7 - Fig. 3 - 1. punta di lancia in bronzo da Valnair (età del Bronzo

finale); 2. ascia in bronzo da Tramantan (età del Ferro antica);

3. fibula romana in bronzo da Caschlin.

8 - Fig. 4 - 1. Statuina in bronzo da Stelvio (inizi V sec.).

Fig. 4 - 2. stele in pietra da Bormio (II metà del V sec.).

 

*

 

LA STORIA DELLA VAL VENOSTA

 

 

"Nella storia e nella cultura del Tirolo, la Venosta si distingue alquanto dalle altre valli, specialmente in certi periodi, assumendo una posizione particolare. Di seguito ne darò alcuni cenni sommari.

 

Periodo retico

(1000 - 15 avanti Cristo)

 

I primi abitanti di cui ci sia tramandato il nome, passato alla valle, furono i "Venostes", una stirpe retica celtizzata. Asce di bronzo affiorarono in tutta la venosta, anche a Prato, Stelvio e Gomagòi; sul colle di Tarces si trovò un’iscrizione retica incisa su un corno di cervo, insieme a molti altri reperti.

Ad ogni pié sospinto ci si imbatte in toponimi singolari prelatini, quasi tutti di significato ignoto, come (nella versione attuale modificata) Malles, Tubre, Glorenza, Màcia, Stelvio, Martello, Silandro, Corces, Oris ecc. ed in nomi strani (retici?) dei torrenti: Ron, Saldur, Plima, Puni, Gadria. A Solda sono preromani i toponimi Gand (pietrame), Rosim (pascolo fra rocce), Zai, Razoi ecc.

Anche certi usi e costumi reperibili solo in Val Venosta o quasi, come il lancio di dischi infuocati, la denominazione "Naunen" per gli spiriti malvagi ecc. rimandano alla mitologia dei Celti.

Esistevano già mulattiere di comunicazione con le valli a nord ed a sud attraverso vari passi. In caso di pericolo la popolazione si rifugiava nei "castellieri", con muri di cinta su alture che si prestavano alla difesa.

Periodo romano

(15 avanti Cristo - 476 circa)

 

Nel 15 avanti Cristo i Venostes perdettero la libertà; furono vinti e sottomessi dal condottiero romano Druso, che proseguì la sua campagna vittoriosa giungendo fino al Danubio. I Romani requisirono tutti i giovani atti alle armi inserendoli nelle loro legioni; attraverso la valle costruirono una strada militare, la Via Claudia Augusta, che dalla pianura padana portava alla capitale della nuova provincia romana Rezia, Augusta (Augsburg); sono affiorate alcune pietre miliari ed a Parcines un altare di Diana.

Poiché la provincia comprendeva parte delle odierne Svizzera, Austria e Baviera, fu suddivisa poi in Rezia Prima e Rezia Seconda con capitale Curia (Coira, Chur) e di questa faceva parte pure la Venosta. Con i Romani arrivò nella valle anche il Cristianesimo, predicato da san Corbiniano e da san Valentino (morto nel 472 a Maia presso Merano); da allora in poi la Venosta rimase sempre con la diocesi di Coira fino al 1816. Il vescovo acquistò grande potenza nella valle sia come latifondista e beneficiario di donazioni, sia perché col tempo divenne preside della Rezia Seconda.

Per merito dei Romani fu migliorata l’agricoltura, furono introdotte la frutticoltura e la viticoltura. La costruzione di canali irrigui e la concimazione resero possibile un più intenso sfruttamento del terreno per una popolazione in aumento, che colonizzò le valli laterali, sfruttando gli alpeggi. Pian piano gli abitanti impararono sempre meglio il latino volgare e la lingua retica col tempo scomparve; ne restano tracce nella toponomastica, in alcune parole, nella pronuncia. Alla fine dell’impero la romanizzazione era completa e si mantenne per quasi altri mille anni.

I nomi dei prati e dei campi sono in stragrande maggioranza di radice ladina (retoromana); fra quelli dell’alta Venosta cito p. es. Prato, Pramaiur, Planòl, Pradamuntus, Pinèt, Monteplair, Runch, Plantavillas, Calva, Valnair, Trafòi (in ladino trifoglio); a Solda Gamper (campi), Campnair (campo nero) ecc. Laces deriverebbe da lucus, lago e così via.

Periodo dell’alto medioevo

(476 circa - 1027)

 

Crollato l’impero romano, la Venosta passò sotto il dominio degli Ostrogoti e quindi dei Franchi, che la difesero contro l’avanzata dal sud dei Longobardi, annettendola al loro regno.

Carlo Magno fondò il convento dei Benedettini di Müstàir (Monastero); in seguito la valle divenne una contea, sottoposta al ducato di Svevia; di quei "secoli bui" si sa ben poco.

Intanto a nord delle Alpi erano avanzati i popoli germanici: i Baiuvari nel Tirolo del nord, gli Alemanni in Svizzera, ma trascurando le alte valli del Reno e dell’Inn. I Baiuvari verso l’anno 580 passarono il Brennero e nel 680 circa erano già a Bolzano. Di là risalirono a ritroso la valle dell’Adige e poco dopo il 700 raggiunsero Merano, nei cui dintorni però la lingua retoromana sopravvisse fino al XIII secolo.

 

Periodo tirolese

(1027 -1918)

 

Nell’anno 1027 l’imperatore Corrado II trasferì la sovranità sulle contee di Bolzano e della Venosta al vescovo di Trento e costui cedette l’amministrazione ai conti di Tirolo; iniziò così la lunga lotta di quei conti contro i vescovi di Coira, che vantavano diritti anteriori, e la lenta germanizzazione della valle.

Nel 1363 la Venosta passò con tutto il Tirolo agli Asburgo e restò quindi austriaca fino al 1918.

 

Particolari del medioevo

 

Passiamo ora ad alcuni particolari. Nella Venosta ci furono per lungo tempo ben quattro signorie. La più antica era quella del vescovo di Coira, diventato principe temporale, in possesso di una grande estensione di terreni; le sue fattorie erano contraddistinte da una croce di sant’Andrea dipinta sul muro esterno. La seconda era quella del convento di Marienberg (fondato verso il 1150 da benedettini tedeschi) pure proprietario di molte tenute; il vescovo ed il monastero affidarono gli affari civili e criminali al braccio secolare, ai nobili di Mazia. I coltivatori da loro controllati erano praticamente servi della gleba, al massimo livellari ed enfiteuti.

Ma esistevano pure contadini liberi, soggetti alla terza signoria, al conte della Venosta.

Il sovrano di Tirolo possedeva pure lui privatamente vasti territori, specialmente praterie, boschi, alpeggi, masi affidati a servi o enfiteuti, controllati da amministratori, e tale complesso formava la quarta signoria. Così a Malles p. es. stavano ben quattro giudici, uno per signoria; Solda sottostava ad un castaldo del conte, che risiedeva nel castello di Cengles.

Naturalmente col tempo la potenza del vescovo di Coira andò sempre più scemando, a tutto vantaggio dei nobili di Mazia e dei conti di Tirolo.

Nel secolo XIV penetrò a tre riprese nella valle la peste bubbonica, infuriando particolarmente nel 1348 e decimando la popolazione.

Da Merano i Baiuvari avanzarono lentamente in Val Venosta dal basso, giungendo nel XIV secolo a Silandro; la germanizzazione avvenne quindi con estrema lentezza. Nel 1394 a Glorenza i processi si svolgevano ancora in lingua romancia e persino nel 1450 nell’alta Venosta la maggioranza della popolazione parlava il retoromano, come nell’attiguo Cantone dei Grigioni.

 

La guerra con i Grigioni

 

Nel 1497 il Cantone dei Grigioni si unì alla Confederazione Elvetica, sottraendosi al potere dell’imperatore. Massimiliano I d’Asburgo cercò di riportarlo sotto il suo dominio ed il risultato fu lo scoppio della cosiddetta "guerra dell’Engadina". La battaglia decisiva avvenne presso il ponte della Calva, allo sbocco della Val Monastero. 8000 svizzeri, per difendere la loro libertà, combattendo eroicamente annientarono l’esercito tirolese forte di 12.000 uomini e cavalieri, il 22 maggio 1499. Fu una strage tremenda; restarono sul campo 2000 grigionesi e ben 5000 tirolesi morti; Glorenza ed i paesi circostanti furono saccheggiati e distrutti e Massimiliano dovette riconoscere l’indipendenza della confederazione elvetica.

Dopo la sconfitta il conte del Tirolo temeva che i Venostani si unissero ai liberi confederati; la Chiesa temeva che gli abitanti diventassero protestanti come gli engadinesi; perciò ambedue i poteri, quello civile e quello ecclesiastico, per non perdere il loro dominio proibirono nella Venosta alta l’uso pubblico della lingua retoromana nei tribunali, nei Comuni, nelle funzioni sacre, nelle scuole, per togliere il mezzo di comunicazione che legava venostani e svizzeri; si proibiva l’ingresso di engadinesi e si favoriva l’afflusso di alemanni. Da allora in poi, specialmente per "merito" del convento di Marienberg, l’antica lingua regredì rapidamente, sostituita dal tedesco. Tuttavia esistevano ancora parlanti il retoromancio, fino al 1750 circa, nei paesi fuori mano di Stelvio, Mazia, Planòl, Tubre.

 

Altre guerre

 

Nel 1525 imperversò nella Venosta la "guerra dei contadini" ribellatisi alle vessazioni esorbitanti; esasperati essi si misero a depredare e massacrare; ma il governo, i conti ed i nobili ebbero la meglio e repressero la rivolta con altrettanta ferocia, riprendendo il sopravvento. Nel 1630 un’epidemia di febbre petecchiale mieté quasi la metà della popolazione.

La Val Venosta ebbe a soffrire anche durante le guerre napoleoniche; nel 1799 un esercito francese penetrò attraverso il Giogo di Santa Maria; fra Monastero e Tubre infuriò una battaglia in cui gli austriaci ebbero nuovamente la peggio; ne caddero 1200, e 4000 finirono prigionieri; i vincitori devastarono orribilmente i paesi della valle. Nel 1805 con la pace di Pressburg (oggi Bratislava) l’Austria dovette cedere il Tirolo alla Baviera, alleata dei francesi; il nuovo governo soppresse i monasteri e tolse al vescovo di Coira tutti i possedimenti della Venosta.

Nel 1809 i Tirolesi insorsero contro la dominazione franco-bavarese e combatterono sotto Andreas Hofer per tornare sotto l’Austria; anche gli "Schützen" della Venosta parteciparono a battaglie vittoriose a Pontlatz ed Innsbruck, al comando del maggiore Teimer; ma la lotta di liberazione alla fine fallì [...].

 

Altre calamità

 

Gli anni 1814-1816 rimasero senza raccolto a causa del freddo intenso e la gente si ridusse a mangiare erbe e radici. Nel 1838 si diffuse il colera asiatico, facendo numerose vittime. Un testimone oculare, Josef Dietl di Malles morto nel 1884, riferì: "I cadaveri erano neri, come fossero carbonizzati. Lo strato inferiore dell’aria aveva un aspetto strano, era di un colore grigiastro e lugubre. Il sole pallido, circondato da un alone, non riusciva a penetrare quella nebbia, mentre la zona al di sopra dei 1300 metri era illuminata splendidamente. Lassù si erano rifugiati gli uccelli, non si vedeva nessuna nuvola e gli abitanti rimasero illesi."

Finalmente negli anni 1851-1853 si realizzò la "affrancazione degli oneri fondiari". Gli enfiteuti ereditari riscattarono i loro masi, posseduti fin allora col sistema feudale versando soldi e decime in natura ai detentori della "alta proprietà", mediante il pagamento "una tantum" di una considerevole somma, come liquidazione definitiva che li rendeva liberi proprietari, somma corrispondente a 14 anni di tributi. La "allodificazione dei fondi" era di straordinario rilievo; tuttavia ben pochi avevano così tanto denaro a disposizione; moltissimi contadini dovettero prendere i soldi a prestito, gravando il maso con una ipoteca e quindi col pericolo di cadere in una situazione peggiore di prima. Intanto i prodotti agricoli calavano di prezzo, le tasse ed i salari aumentavano, cosicché negli anni ottanta del secolo scorso ci fu una grave crisi.

[...] Negli anni 1915-18 la Val Venosta fu teatro di combattimenti continui. La fine della guerra portò con sé la separazione dell’intero territorio dall’impero austro-ungarico."

Particolarmente apprezzato sull’argomento è il volume Guerra sulle vette, unanimamente riconosciuto come corretto studio sull’argomento. "La guerra sull’Ortles-Cevedale ebbe caratteristiche singolari, combattuta come fu, ad altitudini comprese fra i due e i tremila metri. Impresa di reparti, ebbe per protagonisti i singoli rocciatori, le esigue pattuglie. Un telo da tenda, un cappotto erano i primi ricoveri per resistere ai 30° sotto zero, contro l’infuriare del vento, annidati in tane scavate frettolosamente nella neve.

Fu una pagina vissuta quasi in sordina, senza i clamori o le retoriche citazioni sui bollettini, in una misura singolarmente cavalleresca che vide italiani da una parte e austriaci dall’altra affrontarsi in duelli o episodi in cui il valore individuale si univa a una non comune perizia alpinistica; tant’è vero che ancora oggi si ricordano con commozione i nomi di quei cacciatori di camosci (come il leggendario Tuana) che fra i crepacci o le desolate cime diedero a vedere di essere soprattutto creature della montagna quali oggi non è più, forse, dato di conoscere.

Sottoposti a un lento, quotidiano stillicidio di perdite a causa dei rigori del clima e delle difficoltà della montagna, i reparti combattenti sull’Ortles-Cevedale videro fra i protagonisti anche singolari figure di volontari, quasi moderni guerrieri senza macchia e senza paura."

 

9 - Stelvio: vista del paese circa negli anni ‘40-’50.

 

*

 

CODIFICAZIONE LOCALE DELLA RISPETTABILE COMUNITÀ

DEL PAESE DI STELVIO

"Dorffbuech ainer Ersamen Gantzen Gemain

deß Dorffs Stilffs"

 

 

Introduzione

 

La convivenza ordinata e pacifica degli uomini ha sempre seguito determinate regole. Fin dai tempi antichi, queste norme giuridiche furono trasmesse dai genitori ai figli. Nel corso della storia però esse aumentarono in modo tale che si procedette ad una codificazione degli antichi diritti consuetudinari.

Nell’Alta Venosta tali scritti esistono sin dal 15° sec. Essi diventano più frequenti nel 16° sec., in un’epoca dove le circostanze furono tali da imporre una conservazione delle tradizioni, considerato che gli scontri bellici tra il Tirolo e i comuni del Drei-Bünden, non riuscendo a chiarire la situazione territoriale nella zona di frontiera e nella Venosta, spinsero i responsabili (sia mediante ordine dall’alto che non) a fissare con esattezza le condizioni giuridiche.

La codificazione di Stelvio è tra le più antiche se non della regione delle Alpi centrali, sicuramente del Tirolo e della Venosta (solo la codificazione molto simile di Malles è più vecchia di due anni). E’ interessante la circostanza storica che, verso la metà del 16° sec., la maggioranza dei sudditi a Stelvio parlasse il retoromanzo e si considerasse come fedeli appartenenti alla curia vescovile di Coira, come si apprende dalla famosa descrizione della Rezia redatta intorno al 1570 da Ulrich Campbell (v. Kind, 1884). A queste circostanze è dovuto il fatto che le autorità di Stelvio incaricarono nel 1550 uno scriba di Santa Maria (Val Müstair, cantone dei Grigioni) località ancor oggi retoromanza, di completare la codificazione, in quanto non ritenevano più soddisfacente la versione del 1544. Era una faccenda assai spinosa, perché si trattava di trasporre i termini giuridici retoromanzi nei corrispettivi termini tedeschi. A quanto pare, tra tutti i sudditi e gli scribi tirolesi di lingua tedesca non si era trovato nessuno capace di eseguire tale compito.

 

Breve compendio della storia di Stelvio

 

Come in molti altri casi, anche le origini di Stelvio risalgono alla notte dei tempi. Sono stati tramandati e preservati notevoli reperti preistorici e protostorici. Gli studiosi considerano come primi insediamenti umani i siti preistorici di Caschlin e di Weiberbödele, che spesso sono messi in relazione con l’estrazione preistorica del rame. A questo proposito mancano però dei riferimenti più concreti, come pure circa l’età e l’aspetto dei due insediamenti di Caschlin e di Weiberbödele. Da alcuni reperti di scuri e di punte di lance si può solamente dedurre che la valle di Solda ben presto spinse dei gruppi a insediarvisi.

Il nome di Stelvio, menzionato la prima volta in un atto del 1229 (Stilvis), ha molto probabilmente delle origini preromane. L’etimologia del termine è piuttosto controversa in ambito linguistico. Dal confronto con altri toponimi contenenti l’elemento "(s)-telva" emerge comunque il significato di "area, pianura, campo, terreno" (Hubschmied, p. 39 e Finsterwalder, p. 225), significato pertinente se si pensa alla terrazza postglaciale, situata a valle della località, formata dal ruscello Sulden con sabbie e detriti.

Su questa terrazza si trovava gran parte dei campi e prati delle tenute agricole. Dall’intrigo di parcelle, riportate nel Catasto Teresiano del 1787 e nel primo Catasto del 1857, emerge un territorio agricolo dal nome caratteristico di "Quader". I proprietari delle particelle così denominate versarono nel 1787 degli interessi fondiari alla contabilità di Furstenburg, subordinata al vescovo di Coira.

10 - Stelvio nella sua porzione territoriale

dopo il 18° secolo

 

Questo terreno, sin dal primo medioevo, era il primo territorio agricolo di una fattoria denominata Milenz-Melanz. Esso appartenne al convento di Cazis a Domleschg nel cantone dei Grigioni, prima di passare nel 1359 sotto il possesso del vescovo di Coira. I possedimenti conventuali si trovavano sparsi nell’intera Val Venosta. La proprietà di Milenz costituisce il nucleo primitivo dell’odierno paese di Stelvio.

Nei secoli consecutivi aumentò la colonizzazione, come si può facilmente dedurre dalla presenza di nuove famiglie nobili nella valle.

Verso la fine del 13° sec. sono attestati come signori feudali i conti di Tirolo, i vescovi di Coira e i loro visdomini, i signori di Rotund / Reichenberg, il monastero di San Giovanni a Müstair / Münster e i signori di Tschenglsberg (dal 1149 tenutari della cancelleria di Coira). La forma di insediamento prevalente è la fattoria isolata che, attraverso l’analisi della genesi dell’insediamento, è rintracciabile persino nel compatto villaggio della Stelvio odierna.

Verso la fine del 13° sec., Stelvio era un raggruppamento di pochi poderi agricoli. Con l’incremento costante della popolazione ed il frazionamento sfrenato dei terreni aumentò la costruzione di case.

Verso il 1600 ci fu una tale mancanza di spazi che le autorità locali si videro obbligate a permettere ai membri della comunità, pronti a trasferirsi, la costruzione di case presso fienili e ripari invernali.

La popolazione viveva soprattutto degli scarsi raccolti dell’agricoltura e dell’allevamento, strappati al suolo con grande sforzo.

A Solda e a Trafoi l’allevamento costituiva l’unica fonte di sostentamento perché lì, a causa delle rigide condizioni climatiche, la cerealicoltura era precaria e quindi irrilevante. Nel 1694/ 96, le terre di Solda erano considerate le più misere di tutto il distretto giurisdizionale di Glorenza e Malles, tanto che la totalità degli abitanti dovette comperare nella Val d’Adige il grano per il pane.

La celebre industria estrattiva di Stelvio non poté attenuare la miseria della popolazione. I minerali di ferro, di argento e di rame estratti nella zona e attestati dal 1352 non erano sufficienti a migliorare in modo decisivo le condizioni di vita. Solo poche famiglie, per lo più estranee al villaggio, poterono così guadagnare il loro pane. Dopo ripetuti alti e bassi l’industria mineraria, verso la fine del 18° sec. viene del tutto abbandonata. Solo il calcare e la magnesite sono stati estratti fino ai tempi moderni; adesso però anche queste miniere sono inattive.

 

11 - Stelvio: distribuzione delle proprietà terriere 1787.

 

Il trattamento di minerali praticato a Solda e a Prato (più esattamente nella frazione di Schmelz, lett. "fusione") provocò una temporanea distruzione degli estesi boschi d’alto fusto, cosicché il sovrano del Tirolo emise un decreto di salvaguardia per garantire a lunga scadenza il rifornimento di legna alle fonderie.

La presenza di queste ricchissime risorse lignee nella valle si rifletteva anche sull’aspetto delle sue abitazioni.

Ancora nel 1694/96, il catasto locale afferma che tutti gli edifici abitativi e rurali del villaggio erano costruiti in legno massiccio. Le case di pietra che oggi caratterizzano l’immagine del villaggio sono state costruite solo in seguito agli incendi devastatori del 18° e del 19° sec.

Per quanto riguarda l’ambito ecclesiale, Stelvio originariamente fece parte della parrocchia di Sluderno, insieme ad altri villaggi. Una prima chiesa è attestata nel 1303, in occasione del distaccamento della chiesa di Agums dalla parrocchia di Sluderno. Sin da allora gli abitanti di Stelvio non dovettero più fare il lungo e faticoso cammino attraverso la valle dell’Adige. Solo nel 1604 Stelvio divenne parrocchia autonoma alla quale appartenevano le chiese filiali di Solda e di Trafoi.

Va menzionato anche il celebre processo detto "dei topi" che Stelvio nel 1519/20 intentò davanti al tribunale di Glorenza. Dietro questo episodio apparentemente tragicomico si cela la disastrosa piaga dei topi, che nel 1550 spinse infine le autorità locali a cercare l’aiuto della chiesa (CA 2, n. 952).

Per abbozzare un quadro delle attuali condizioni economiche e sociali di Stelvio, daremo prima uno sguardo alla situazione demografica. Nel 1971 Stelvio (con le frazioni di Solda e di Trafoi) contava 1.456 abitanti, il paese (senza gli agglomerati di Piazza, Fasslar e di Ponte Stelvio) soltanto 564 abitanti. Ciò corrisponde a 10 abitanti per Km² del territorio agricolo del comune, che ammonta a 140,92 Km². In montagna però, questo valore non dice molto, perché sovente la superficie coltivabile vera e propria ne costituisce soltanto una piccola parte. Visto che quest’ultima è costituita da soli 5.021,60 ha, Stelvio è da considerare come sovrappopolata in termini agrari, ovvero i raccolti ottenuti sul proprio territorio non sono sufficienti ad alimentare la popolazione locale. Esiste quindi la necessità di acquistare cereali nella Val d’Adige o altrove.

La scarsità o la mancanza totale di attività secondarie costrinse e costringe molti capifamiglia a guadagnare il denaro per l’acquisto di cereali al di fuori del proprio paese. Aggravandosi nel nostro secolo, questo problema è però profondamente radicato nel passato del paese. Stelvio infatti conobbe presto il fenomeno della migrazione stagionale: esso riguardava soprattutto i "Karrner", venditori ambulanti che trainavano un carretto, e gli "Schwaben-kinder", bambini che in estate guardavano il bestiame presso grandi fattorie in Svevia (v. Uhlig, 1987). Insieme formavano il ceto dei coloni senza proprietà terriera, che nel 1837 era costituito da ben 53 famiglie, un terzo circa della popolazione.

In confronto a queste persone può sembrare che i contadini proprietari di fondi conducessero una vita agiata, ma non era affatto così.

Ad un’analisi più approfondita, si nota che anch’essi dovevano fare a meno di molte cose alle quali un cittadino o un contadino della Val d’Adige non avrebbe mai rinunciato, come per esempio attrezzi agricoli o domestici. Malgrado il fatto che oggi le possibilità di guadagno siano aumentate (affitto di camere, lavoro industriale a Prato, Sluderno e Silandro), ci sono sempre numerose famiglie che dipendono dai risparmi e dai guadagni dei loro congiunti che lavorano in Svizzera oppure in Germania.

 

Insediamento e territorio agricolo di Stelvio - 1787

 

Da molto tempo i ricercatori si adoperano per chiarire la genesi e lo sviluppo dei centri abitati della Venosta. Questi villaggi presentano un caso assai complicato, mancante tuttora di un valido approccio scientifico. Un metodo per avere risultati rigorosamente accertati consiste nell’analizzare l’aspetto del territorio secondo i criteri del diritto di possesso. A questo proposito si ricorre ai catasti tributari dell’età moderna, che nel caso di Stelvio sono i Catasti Teresiani del 1787, i cosiddetti libri di trasporto (verbali dei passaggi di proprietà) e la prima mappa territoriale del 1857.

Queste fonti non solo riportano per ogni podere elencato l’imposta fondiaria dovuta, ma menzionano anche delle particolarità giuridiche riguardo la forma di possesso. Spiegano per esempio se si tratta della proprietà privata di un contadino o del terreno di un proprietario fondiario dato in affitto. Viene inoltre specificato in molti casi se il campo o prato in questione faccia parte di un podere più grande.

La legenda della mappa rivela un numero molto minore di proprietari terrieri rispetto alla tabella allegata. Ciò è dovuto al fatto che la mappa rappresenta solo una frazione del vasto territorio rurale di Stelvio. Mancano parti della valle interna con gli agglomerati sparsi di Solda, Gomagoi e Trafoi, dove pressappoco ogni podere appartiene ad un singolo padrone. Non così a Stelvio, che paga l’affitto dei terreni agricoli - in danaro o in natura - soltanto a pochi proprietari terrieri. Gli spazi bianchi sulla mappa rappresentano del resto le numerose libere proprietà già presenti all’epoca.

All’interno del gruppo dei proprietari terrieri rivolgiamo ora l’attenzione ai possedimenti del vescovo di Coira. Il catasto del 1787 indica non più di 15.000 tese quadrate (circa 4,2 ha) come appartenenti alla curia vescovile. É quasi sicuro che tale superficie costituisca solamente i resti di un dominio territoriale più importante nel passato. Questa tesi viene confermata dalle note che fissano per ogni parcella l’onere tributario delle cosiddette pecore degli anni bisestili.

Si tratta di un tipo di tributo che rende evidenti gli antichi vincoli feudali. Al momento della transumanza, il fittavolo pagava al proprietario questo tributo, come conferma degli antichi legami di lealtà, protezione e possesso. Il tributo, che nel 1374 a Stelvio ammontava a nove pecore all’anno, fu pagato ai signori di Reichenberg e più tardi ai loro eredi, i signori di Schlandersberg, nella loro qualità di visdomini di Coira. É da aggiungere che la comunità di Stelvio in data ignota acquisì in parte questo onere tributario dai signori di Schlandersberg, i quali però non tolsero il tributo dai terreni ma continuarono a riceverlo. Si potrà quindi affermare con una certa probabilità che i fondi censuari della comunità tutto sommato non rappresentavano altro che degli antichi possedimenti vescovili di Coira.

Se questi fondi censuari di Stelvio vengono confrontati con quelli del vescovo di Coira, emerge chiaramente che prima del 1500 a Stelvio era il convento di Coira a possedere il territorio più vasto, mentre gli altri proprietari fondiari avevano un’importanza minore rispetto al convento. Questo vincolo feudale risale perlomeno all’Alto Medioevo, se non addirittura, sulla base dell’esempio del sopracitato podere di Milenz, al Primo Medioevo, cioè all’ottavo o nono secolo. Come dimostrano le caratteristiche topologiche, la grande proprietà di Milenz situata tra Glurns e Tartsch era originariamente una tenuta carolingia che possedeva numerosi poderi in diversi luoghi della Val Venosta. Il terreno di questa antica "villicazione" porta il nome caratteristico di "Quadra", che in retoromanzo è sinonimo di "campo". All’interno di questi quadrati si trovano i suoli più fertili e favoriti dal clima. Essi costituiscono il nucleo dell’antico terreno agricolo che permane fino ad oggi.

A Stelvio, questi quadrati sono situati sulla terrazza del ruscello di Solda a valle del villaggio, nell’attuale paese di Gultira (lett. "terreno coltivato, campo"). Tenendo conto della formazione dell’insediamento, si giunge ad una conclusione in contrasto con la convinzione popolare: non fu dalla località di Bergknappen ma proprio dal podere di Milenz situato nella conca presso Glorenza e Malles che ebbe inizio l’insediamento di Stelvio e persino dell’intera Val Venosta.

É trascurabile l’influsso dell’industria estrattiva per lo sviluppo di Stelvio; esso riguardava solamente luoghi situati a una certa distanza dal paese.

Dalla carta dettagliata di Stelvio si può ricavare che i possedimenti degli altri proprietari terrieri non formano complessi più importanti. I prati e i campi appartenenti al conte di Schlandersberg sono con ogni probabilità i resti dei terreni da lui ereditati dai signori di Reichenberg. Questi ultimi, in qualità di visdomini del vescovo di Coira, possedevano nel 1397 a Solda alcune casine alpestri, mentre a Stelvio spettava loro un tributo di nove pecore e metà della decima su agnelli e capretti

I possedimenti del conte di Khuen invece costituiscono l’antica eredità dei signori di Liechtenberg. A questo proposito, ad attestare la storica proprietà dei Liechtenberg rimane unicamente il Catasto A del 1471, che menziona un tributo di 13 mutt di cereali (1 mutt = 36,99 litri), da consegnare presso la Torre Nera del castello di Liechtenberg.

Guardiamo infine tra le proprietà censuarie della giurisdizione di Glorenza e Malles i poderi di Neuraut e la tenuta di Gawierg (situata al di là di Fascheldri, sull’antica strada di Lichtenberg). Tali possedimenti vanno scrupolosamente distinti dagli allodi e dalle proprietà feudali dei conti tirolesi. Visto che in altre località dell’Alta Venosta essi risalgono quasi sempre ad un periodo successivo al 1450, possiamo identificarli con una certa probabilità come acquisizione del primo 16° sec.

Sulla base di ciò otteniamo quanto segue. I possedimenti del sovrano del Tirolo a Stelvio non sono molto importanti. A causa delle condizioni particolari, i conti tirolesi sono da considerare, nell’Alta Venosta e altrove, come proprietari fondiari più recenti. Nell’Alto Medioevo, il loro influsso sull’insediamento dell’esterna Val Solda (cioè a Stelvio) è trascurabile.

Lo sviluppo dell’insediamento aveva il suo centro sociopolitico nell’antica tenuta di Milenz ed era sostenuto da feudatari e fittavoli del vescovado di Coira.

In contrasto con gli inizi di Solda e di Trafoi, da collocare nell’Alto o Tardo Medioevo (12° o 14° sec.), le origini di Stelvio risalgono ad un insediamento del Primo Medioevo, o forse addirittura di età carolingia.

 

Valutazione e confronto

 

Commentare una codificazione è un’impresa ardua: che gli studiosi di diritto antico mi perdonino. Se nonostante ciò intraprendo quest’opera, dichiaro fin dal principio che nel caso della codificazione di Stelvio, la meta che mi sono prefissato è ben definita. Mi limiterò ad interpretare alcuni paragrafi confrontandoli con alcune codificazioni antiche all’epoca in vigore nei comuni limitrofi.

Nella codificazione del 1544/1550, Stelvio si presenta come una comunità bene organizzata. Associazione di persone comuni, essa non lascia intravedere delle distinzioni sociali. Una volta soltanto appare il termine di "Maierleute" (lett. coloni, da "mansut"), che rende evidente il fatto che sul territorio comunale esistevano forme di proprietà diverse che si distinguevano l’una dall’altra per i loro vincoli giuridici o sociali. In contrasto con altri codici comunali dell’Alta Venosta, quelli di Stelvio non concedevano i diritti comuni solamente ad un particolare ceto di persone. I diritti di pascolo ad esempio, rilevanti a questo proposito, sono uguali per contadini e coloni. Ed ogni membro della comunità ha gli stessi diritti per quanto riguarda viabilità e approvvigionamento di acqua e di legna.

In testa alla comunità si trovano i tre sindaci, tra i quali il capitano del villaggio, eletti per la durata di un anno. Inoltre vi sono i sei anziani che formano una specie di giunta. Nella gestione delle cariche essi sono sottoposti al controllo della grande Assemblea comunale che si riunisce la prima domenica di Quaresima per ricevere il resoconto dei sindaci e degli altri funzionari.

Questa assemblea è la più importante tra tutte le riunioni comunali. Tutti coloro che godono dei diritti comuni sono obbligati a essere presenti, altrimenti sono costretti a pagare un’ammenda di 12 grossi (equivalente al valore di 4 agnelli). Si procede non solo all’elezione dei sindaci ma anche alla nomina delle altre cariche come guardie campestri, messaggeri e pastori comunali. É degno di nota l’obbligo di accettare una carica quando si è eletti. In caso di rifiuto vengono inflitte severe punizioni per vincere le resistenze.

Questo obbligo esisteva anche in altri paesi, per esempio a Tartsch e a Taufers.

Come ricompensa per le premure e per l’impegno di tempo dovuti alla loro carica, i magistrati ottengono una parte delle ammende. Per prevenire ogni arbitrio ed arricchimento, i magistrati e tutti gli altri funzionari sono condannati a pagare in tali casi il doppio dell’ammenda.

La grande assemblea si riunisce inoltre il primo maggio. Il giorno prima, i magistrati devono convocare la riunione. Un punto fisso e ricorrente nell’agenda dell’assemblea di maggio è la discussione dei cosiddetti "Kreuterweg", i sentieri pubblici che per qualche tempo vengono chiusi al passaggio per permettere una più estesa coltivazione di crauti. Questa disposizione, unica nel distretto del tribunale di Glurns e Mals, potrebbe essere un accenno alla presenza di una coltivazione di crauti così importante da far sì che i raccolti fossero venduti anche nei dintorni di Stelvio.

In occasione di entrambe le assemblee si amministrava inoltre la giustizia, componendo tutte le discordie verificatesi nel corso dell’anno. Oltre alle assemblee semestrali, i magistrati potevano convocare assemblee straordinarie quando lo ritenevano necessario.

L’insieme delle disposizioni della codificazione, lette in pubblico ad ogni assemblea per richiamare alla memoria, regolavano la vita quotidiana nella comunità del villaggio. Essi provenivano dall’ambito dei possibili conflitti che potevano sorgere nella gestione del lavoro contadino e nella vita di tutti i giorni. Vi si trovano regolamenti relativi alla posizione dei cippi confinari (e alle conseguenze di un loro spostamento volontario da parte di un vicino cattivo), alle recinzioni di campi e boschi, ai diritti di pascolo e di passaggio come all’approvvigionamento di legna ed acqua. Nell’ambito del nostro studio non è però possibile guardare da più vicino a questi "comuni diritti ed usanze".

Accanto ai diritti esistono anche i doveri che si deve assumere l’individuo. Guardiamo brevemente quelli più importanti, riguardo l’allevamento dei buoi e dei verri riproduttori. Nel 1544, una persona estratta a sorte è obbligata a mantenere un bue o un verro nella propria stalla. Sei anni più tardi, un nuovo regolamento prevede che i contadini si alternino nell’adempiere questo obbligo. Era possibile anche rifiutare tale compito, ma in tal caso era prevista un’ammenda. Non conosciamo con certezza il perché di questo cambiamento, ma sembra che alcune persone abbiano ritenuto l’allevamento di buoi e verri un onere eccessivo e quindi abbiano chiesto l’abolizione dell’estrazione a sorte. Il fatto che questi buoi pascolassero sempre insieme al bestiame comune illustra chiaramente che i contadini conoscevano appena il valore di un allevamento controllato.

Per conoscere il sistema di coltivazione seguito è utile considerare il regolamento di passaggio riguardante il campo di Röffel. Ne possiamo ricavare che sui campi di Stelvio si praticava un ciclo quadriennale di fertilizzazione e coltivazione, basato su un’alternanza che prevedeva un anno di cereali invernali, due anni di cereali estivi e un anno di maggese. Una tale rotazione si trova anche in altri villaggi della Venosta. Questo ciclo di coltivazione però non va confuso con la rotazione triennale o quadriennale praticata al di fuori della regione alpina, in quanto esso valeva solo per la parcella individuale e non per tutto il campo recintato. Insieme agli altri regolamenti circa i confini del territorio agrario, i diritti di passaggio ponevano certo dei limiti all’azione degli agricoltori privati. Che questi limiti fossero equivalenti o meno alle costrizioni risultanti dalla tradizionale rotazione triennale è però quasi impossibile da stabilire.

La mancanza di regole riguardo l’alpeggio significava probabilmente che ogni membro della comunità poteva liberamente condurci il suo bestiame; in caso contrario tale regolamento figurerebbe sul codice del paese.

Non spetta all’editore della codificazione di Stelvio esprimere un giudizio finale. Egli coltiva però la speranza che altri possano tenere conto, nell’ambito dei loro studi, di questa fonte estremamente importante per la storia sociale ed economica del Tirolo.

 

ABBREVIAZIONI

CA = Cronache d’archivio (v. bibliografia Von Ottenthal e Redlich)

BAC = Bischöfliches Archiv, Chur

C = Manoscritto C (v. bibliografia Waschgler)

DTA = Dizionario Toponomastico Atesino (v. bibliografia Battisti)

REV = Romanisches etymologisches Wörterbuch (v. bibliografia Meyer-Lübke)

RN = Rätisches Namenbuch (v. bibliografia Schorta)

AS = Archivio di Stato

CAT = Catasto Teresiano (Archivio dello Stato, Bolzano)

TLA = Tiroler Landesarchiv, Innsbruk

CT = Codificazioni Tirolesi (v. bibliografia)

fl = fiorino (Gulden)

J = giogo (joch) = 1.000 tese tirolesi = 0,36 ha

X = grosso (Kreuzer)."

 

* La Codificazione, in pratica, trova corrispondenza altrove con i cosiddetti "Statuti Comunali" diffusi nel resto d’Italia dopo la formazione dei liberi Comuni.

 

 

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L’EPOCA CONTEMPORANEA

 

 

La storia più recente del territorio Venostano e di Stelvio, nel XX secolo, si identifica prevalentemente con quella della regione.

 

Le radici del futuro

 

[...] "Il trattato di Saint-Germain, sottoscritto il 10 settembre 1919, sancì l’annessione del Sudtirolo italiano (l’attuale Trentino) e del Sudtirolo tedesco (l’attuale Alto Adige) al Regno d’Italia. Il Brennero divenne il nuovo confine di stato.

Ben presto fu chiaro che il nascente regime fascista non aveva alcuna intenzione di mantenere le promesse di autonomia fatte inizialmente dal Governo italiano. Gli organi di autogoverno, ovvero le amministrazioni autonome a livello regionale e comunale, vennero delegittimati o esautorati.

Sin dall’inizio il regime fascista avviò un processo di italianizzazione su vasta scala dell’Alto Adige. L’esempio più clamoroso fu il divieto di insegnamento in lingua tedesca; sorsero così le cosiddette "Katakombenschulen", scuole segrete in cui il tedesco veniva insegnato di nascosto. Spesso gli insegnanti di queste scuole furono vittime di ritorsioni e, in alcuni casi, pagarono addirittura con la vita il loro coraggio.

La dittatura fascista soffocò sul nascere ogni forma di opposizione politica. Fu solo all’inizio degli anni Trenta che i giovani cominciarono a ribellarsi, anche se poi in gran parte subirono l’influenza del nazionalsocialismo. Ma Hitler, alleatosi nel frattempo con Mussolini, non poteva certo rappresentare un vero aiuto.

Il 23 giugno 1939 il Governo tedesco e quello italiano pervennero ad una soluzione definitiva della questione sudtirolese: le opzioni. I sudtirolesi dovettero scegliere se rimanere nella propria terra (i cosiddetti Dableiber) o espatriare nel Reich (gli optanti).

L’occupazione dell’Alto Adige da parte della Wehrmacht nel 1943 venne vissuta in un primo momento come una liberazione. Ben presto però si svilupparono forme di resistenza al nazionalsocialismo: un gran numero di italiani e tedeschi, cattolici e laici, si ribellarono più o meno apertamente al regime. Furono molti coloro che vennero giustiziati o morirono nei campi di concentramento. Terminata la guerra, il 5 settembre 1946 il presidente del Consiglio dei ministri italiano Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber sottoscrissero l’Accordo di Parigi che garantiva una particolare tutela alla popolazione di lingua tedesca della Regione Trentino-Alto Adige. Nel 1948 entrò in vigore il primo Statuto di autonomia. Tuttavia dare concreta attuazione alle norme autonomistiche si rivelò quasi subito un’impresa tutt’altro che semplice, anche perché in Consiglio regionale i consiglieri di lingua tedesca erano in minoranza.

La protesta del gruppo etnico tedesco, raccoltasi attorno al canonico Michael Gamper, divenne sempre più vibrata e nel 1957 culminò nel "Los von Trient", parola d’ordine della grande manifestazione di Castel Firmiano. Tale evento segnò l’inizio delle trattative che condussero al Pacchetto.

Per vedere i primi risultati concreti si dovettero però attendere altri 12 anni, caratterizzati sia dagli sforzi diplomatici ripetutamente intrapresi dai politici altoatesini, sia da azioni clamorose, come per esempio gli attentati dinamitardi che attirarono l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale.

Il ministro degli esteri austriaco investì infine le Nazioni Unite della questione sudtirolese. Il 31 ottobre 1960 venne deliberata una risoluzione nella quale si sollecitava la completa attuazione dell’Accordo di Parigi e si affidava all’Austria una funzione di tutela nei confronti dell’Alto Adige. Giacché lo Stato italiano continuava a opporsi a qualsiasi modifica delle norme autonomistiche, il 18 novembre 1961 l’ONU riconfermò la risoluzione dell’anno precedente.

L’11 giugno 1961, durante la cosiddetta "notte dei fuochi", vennero fatte saltare decine di tralicci dell’alta tensione: l’Alto Adige si impose prepotentemente all’attenzione del mondo. Il Governo italiano reagì alle pressioni internazionali istituendo la Commissione dei 19, che venne incaricata di esaminare le richieste dei sudtirolesi. Le conclusioni a cui giunse la Commissione costituirono la base per nuove trattative condotte a più livelli, ovvero nell’ambito di una commissione di esperti italiani ed austriaci, tra i due Governi nonché tra il Presidente della Giunta provinciale Silvius Magnago e il Presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro. Queste trattative permisero di raggiungere importanti risultati. Venne presentato un "Pacchetto" di misure per l’attuazione dell’autonomia, che il Congresso della SVP approvò a stretta maggioranza il 22 novembre 1969.

Il nuovo Statuto di autonomia entrò in vigore il 20 gennaio del 1972.

Le trattative per l’attuazione dello Statuto furono affidate alla Commissione dei 6 per le competenze della Provincia di Bolzano e alla Commissione dei 12 per le competenze della Regione. Finora le due commissioni hanno svolto un buon lavoro: sono state infatti già emanate le più importanti norme di attuazione dello Statuto.

La questione sudtirolese si concluse formalmente l’11 giugno 1992, giorno in cui l’Austria rilasciò all’Italia la quietanza liberatoria di fronte alle Nazioni Unite."

Controversa, e tuttora in evoluzione, resta la questione toponomastica per le ripetute trasformazioni amministrative avvenute nei secoli passati su questo territorio. A detta del Battisti, glottologo della Regia Università di Firenze, direttore del "Dizionario Toponomastico Atesino", ed autore dello studio del 1937 su: "I nomi locali dell’Alta Venosta - Cap. XVII Stelvio", "É impossibile stabilire l’antichità degli stanziamenti in questa valle. I rinvenimenti archeologici, casuali, di tre asce di bronzo ad alette, due a Gomagoi e una a Ponte allo Stelvio, potrebbero esser interpretati come indici di stanziamenti prelatini nella parte più bassa; forse indiziano lo sfruttamento di un’antica miniera. [...]

Nel mio studio sulla toponomastica di questo comune [...] ho esaminato il rapporto fra la toponomastica neolatina e tedesca. Il risultato è il seguente. Nel centro di Stelvio la percentuale neolatina per il paese e dintorni è del 76, nei casali e nelle frazioni di 84, nella zona non coltivata del 66, complessivamente del 75,3; ma essa sarebbe di non poco maggiore, quando si trascurassero nomi tedeschi recenti ed indicanti piccoli appezzamenti. All’epoca del Catasto Teresiano, a. 1787, i nomi pretedeschi formano quasi il 90%. Non è un caso che Stelvio appartenga a quei punti isolati dell’alta Venosta, in cui il neolatino si spense definitivamente dopo la metà del secolo scorso. A Trafoi, centro più recente e con zona coltivata di proporzioni ridottissime, le condizioni sono del tutto mutate: i nomi romanzi controbilanciano numericamente quelli tedeschi. Ma a ciò ha contribuito notevolmente l’alpinismo tedesco coi numerosi nomi di cime d’origine recente e di provenienza straniera. A Solda il predominio di questo fattore ha causata la prevalenza della toponomastica alloglotta (56,1%) nella frazione più interna, mentre in quella più esterna la toponomastica nostrana arriva al (57%); se invece esaminiamo il nome dei casali il risultato è ben diverso: 62% sono neolatini e la percentuale si cambia ancor più se prendiamo in esame i dati del C.T. (73%), cioè se ci riportiamo alle condizioni della fine del Settecento. [...] Al sostrato prelatino appartengono i nomi di Stelvio, Gomagoi, Trafoi e Solda. Il secondo di questi [...], può essere una derivazione seriore da un appellativo o da un aggettivo di origine prelatina, mentre non abbiamo eguali indizi per gli altri toponimi. Per Stelvio [ted. dial. stilfs, borm. stelvi, engad. e monaster. stièlva] le forme medioevali sono costanti; tralasciando la documentazione a. 1090 de Stilvis, Sinnacher, Beiträge, II, 822, che è incerta, abbiamo: a. 1229 in Stilvis, a. 1290 Stilfes, a. 1297 Stilfs, a. 1303 Stylva, a. 1314 Stilues, a. 1322 in Stilvio (prob. Stilvia), a. 1328 Stilves, a. 1353 de Stilfie, a. 1356 in Stilfis, a. 1390 de Stilfes, a. 1394 de Stilfs, de Stilfio, a. 1396 de Stilfes, a. 1421 aus Stilfis, ad Stilfs. Coesistono dunque fino alla fine del secolo XV due forme, una del singolare che perdura tuttora nel termine vicinale con cui i neolatini dei Grigioni chiamano la valle, il passo ed il paese, ed una del plurale romanzo fem. che andò concretandosi e divenne l’unica usata sul posto [...] ".

Lo studio del Battisti prosegue disquisendo sull’etimologia di Stelvio e di ogni ambito comunale, nonché sugli omonimi altoatesini, sino ad indagare, con l’ausilio del maestro Enrico Waschgler, ogni spazio con specifica denominazione.

L’insistente studio della toponomastica atesina era già stato intrapreso da Ettore Tolomei, sin dal 1915, pubblicando nel 1930 "I nomi locali del comune di Stelvio - Secondo contributo all’Atlante toponomastico venostano" con una copiosa ricerca contenuta in ben novanta pagine a stampa, ripresa da vari autori, seguita sul posto sempre dal Battisti.

 

12 - Stelvio: vista dal sentiero per i masi di Piazza.

 

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LA STRADA DELLO STELVIO

 

"L’aprimento di una via carreggiabile fra le Alpi Retiche, che dividono la Valle dell’Adige da quella dell’Adda, cotanto bramato da quei popoli confinanti, ed altrettanto contrastato dalle vicende politiche, dalle gravi difficoltà d’esecuzione, e dalla ingente spesa; siffatta grandiosa ed ardita opera era riservata a Cesare. S.M.I.R. Apostolica Francesco I nell’anno 1818 per alte viste politico-militari, e per benefica munificenza a favore dei popoli della Valtellina, decretò che fosse aperta fra quella catena dell’Alpi una strada carrozzabile, atta alla più breve comunicazione fra il Tirolo tedesco e la Lombardia, e che unire dovesse i propri possessi d’Italia con quelli di Germania senza punto toccare il terreno d’estero Stato. Conseguentemente l’Eccelsa Presidenza della Commissione Aulica d’organizzazione annunciò il Sovrano decreto ai Governi di Lombardia e del Tirolo, ed all’I.R. Comando Generale Militare Lombardo, disponendo in pari tempo che fosse nominata una Commissione mista di civili e militari, la quale fosse incaricata di ispezionare le Valli del Braulio e dello Stelvio, e di riferire sulla possibilità d’aprirvi una via carreggiabile indipendentemente dal suolo d’altrui pertinenza [...]"

"Nel 1818 sotto l’imperatore Francesco fu commissionata la progettazione per il collegamento stradale più breve fra la Valtellina e la Val Venosta.

L’ingegnere Carlo Donegani di Brescia terminò nell’arco di un anno la progettazione e il 23 aprile 1820 il Governo austriaco deliberò l’immediato inizio dei lavori. L’importanza militare e i rapporti politici del tempo - in seguito al trattato di Vienna apparteneva infatti all’impero Asburgico - contribuirono al fatto che la costruzione della strada si concludesse nel giro di 5 anni. L’effettivo tempo di costruzione fu in realtà, tenendo conto della pausa invernale, meno di 2 anni; nella costruzione della strada venne dato lavoro a non meno di 2000 operai. La lunghezza del tratto da Spondigna fino a Bormio è di 49 Km. Il versante sudtirolese presenta un dislivello di oltre 1870 m. per un totale di 48 tornanti; il dislivello del versante valtellinese è di oltre 1530 m. con 34 tornanti. Il dislivello medio venne mantenuto al 9% a causa dei carri a cavallo, un valore basso considerando il genere di strada; in pochi punti la strada presenta un dislivello dell’11%.

 

13 - Strada dello Stelvio: vista dal Rifugio Payer,

versante tirolese.

 

Fino al 1859 la strada era percorribile per tutto il corso dell’anno. Lungo il percorso si trovavano inoltre 8 case cantoniere (case rosse) con possibilità di alloggio e cambio di cavalli. Più di 900 m. del percorso erano protetti da gallerie di legno e tunnel contro il pericolo di distaccamento di valanghe. Nei mesi invernali il trasporto di persone e di merci avveniva con slitte trainate da cavalli. I più importanti punti di appoggio si trovavano sul Franzenshohe (Sottostelvio) e alla IV Cantoniera (Passo Umbrail).

Sul passo stesso solo dal 1897, con la costruzione del primo albergo allo Stelvio, (l’allora Hotel Ferdinandshohe) si offrì la prima possibilità di alloggio. Alla IV Cantoniera la strada si dirama dal passo Umbrail (2502 m.) sul versante svizzero verso S. Maria.

Questo tratto di strada di oltre 13 Km. venne costruito nel 1900."

"La Svizzera, la Savoia col Piemonte, diverse regioni austriache, compresa quella del Tirolo, devono in buona parte la loro esistenza storica al fatto di essersi formate su ambedue i versanti delle Alpi, ove esistono valichi che si prestano tecnicamente alla costruzione di strade e sono quindi di grande rilievo anche dal punto di vista strategico. Per le relative dinastie era di importanza vitale fare accorrere le truppe nelle zone eventualmente minacciate, facendole passare dal nord al sud, o dall’est all’ovest o viceversa, facilmente e celermente.

Qui da noi i primi costruttori di strade militari furono ovviamente i romani. Sottomesse le tribù retiche delle Alpi Centrali verso il 16 avanti Cristo, Druso, mosso da considerazioni politico-militari, iniziò l’impianto di una rete stradale efficiente. Sorse per prima la famosa via romana detta Claudia Augusta, che da Verona portava ad Augusta Vindelicum (Augsburg) attraverso la Venosta ed il Passo di Resia. Per garantire un transito veloce fra l’Italia ed il nuovo confine dell’impero al "limes", si resero necessarie molte opere artificiali: muri solidi, tratti lastricati o selciati, ponti arditi che in parte hanno sfidato i secoli.

... Dopo la sua apertura nel 1831, la ditta Soresi col suo servizio rapido impiegava 115 ore cioè 5 giorni da Milano a Landeck; nel corso del sesto giorno il viaggiatore o il messo con importanti notizie giungeva ad Innsbruck, ove poteva proseguire con altre carrozze "accelerate" per Salisburgo e Vienna. ... Da Bormio a Spondigna il tragitto misurava 50 Km scarsi; per superare (da Bormio) un dislivello di 1500 metri bisognava cambiare i cavalli 5 volte.

 

14 - Strada dello Stelvio: inaugurazione.

 

Poiché la strada era tenuta aperta anche d’inverno, occorreva avere pronti in ogni cantoniera circa 30 uomini (in tutto 200) armati di spazzaneve e pale; basta ciò per far restare senza parole noi attrezzati con potenti macchinari moderni (oggi d’inverno la strada resta chiusa); figuriamoci la meraviglia dei viaggiatori di quei tempi, attoniti davanti all’ardita realizzazione di una strada che, con tornanti ancora insoliti (ben 82), saliva fino a 2758 metri accanto ai ghiacciai! Carlo Donegani (1775-1845) per i suoi meriti fu creato dall’imperatore Ferdinando I "nobile di Monte Stelvio" nel 1839."

"Dopo le guerre del 1848 e 49, il maresciallo Radetzky (avendo visto con quale facilità i volontari valtellinesi avevano rotta quella strada, rendendola intransitabile alle truppe austriache), indusse il governo austriaco a lasciarla in abbandono, e sostituirvi, come strada militare, quella del Tonale, la quale, mediante quella dell’Aprica, avrebbe potuto mettere più direttamente in comunicazione il Tirolo ed il Trentino colla Lombardia.

Il consiglio fu seguito; e si cominciò presto, per mettere in comunicazione la Valcamonica colla Valtellina, a costruire la strada dell’Aprica; ma questa non fu compiuta che sul principio del 1859; e servì per la prima volta al passaggio dall’una all’altra delle due valli delle truppe di Cialdini e di Garibaldi.

Ancor più restò abbandonata dal governo austriaco, sul versante tirolese, quella strada dal 1859 al 1866; ma nel trattato di pace del 1866, il ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta poté ottenere, col mezzo dell’ambasciatore Menabrea, che la strada dello Stelvio fosse opportunamente riattivata anche sul versante tirolese, e rimanesse aperta almeno nei mesi estivi.

Così avvenne; e dall’ora in poi è diventata quasi esclusivamente una strada turistica [...].

Essa unisce la valle del torrente Braulio (confluente nell’Adda, confluente del Po) colla valle del torrente Trafoi (confluente del Sulden, confluente dell’Adige) e passa dalla lombarda Valtellina alla tirolese Venosta.

 

15 - Giogo dello Stelvio: carrozza dell’Imperatore Ferdinando

Giuseppe, in sommità.

 

"É da notarsi, contrariamente a quanto molti credono, che il giogo dello Stelvio non è un valico nella catena principale delle Alpi, ma bensì un valico in quella grandiosa catena secondaria che, staccandosi dalla catena principale, fra il passo di Ofen e quello di S. Giacomo di Fraele, s’eleva col Monte Braullo, s’abbassa al giogo di Santa Maria ed allo Stelvio, s’alza poderosa col gruppo dell’Ortelio-Cevedale, s’abbassa al passo del Tonale, e s’alza di nuovo col gruppo dell’Adamello - Presanella; formando quel sistema montuoso che è limitato dall’Adige, dall’Adda e dalla pianura lombarda."

In tempi recenti, le impressionanti serpentine che si arrampicano fin quasi a tremila metri di altitudine sono state esaltate dal grande ciclista Fausto Coppi e, successivamente, rese famose in tutta Europa da manifestazioni competitive, o più semplicemente spettacolari.

 

16 - Trafoi: vista del paese verso il 1890-95.

 

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PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO

(versante altoatesino)

 

 

Istituito nel 1935 quale quarto Parco Nazionale con una superficie di 96.000 ettari si estendeva in origine nelle province di Sondrio, Trento e Bolzano.

Nel 1977, con Decreto del Presidente della Repubblica è stato ampliato di 38.000 ha, parte in provincia di Sondrio e parte in provincia di Brescia, raggiungendo i 134.640 ettari, di cui 55.000 in Alto Adige, rappresentando attualmente insieme al contiguo Parco Nazionale Svizzero dell’Engadina una delle aree protette più ampie d’Europa.

L’ambito altoatesino ruota intorno al gruppo montuoso dell’Ortles-Cevedale, massima emergenza del Parco (m. 3906 e m. 3769) solcato da profonde e degradanti valli note come Val Monastero, di Trafoi, di Lasa, Martello e d’Ultimo confluenti nell’alta Val Venosta o dell’Adige.

Un’insieme ambientale di particolare ricchezza naturalistica in cui le diffuse antiche emergenze urbanistiche e architettoniche, qui presenti, risultano armonicamente integrate.

Particolarmente ricca è la flora e la fauna locale, la prima spazia dalle colture specializzate del fondo valle, ai prati da fieno di mezza costa posti a cingere i tradizionali "masi" a loro volta bordati da spettacolari boschi di pino cembro o di abete bianco, specialmente verso Laudes, la seconda risalta per gli avvistamenti dell’Aquila reale (Aquila chrydaetos), simbolo del Parco Nazionale, osservata tra la Val Martello e la Val Zebrù oltre alle valli delle Messi e Val Contone, tra le impervie pareti rocciose, emergenti fra gli ampi ghiacciai, ove nidifica dividendo lo spazio con il Corvo imperiale (Corvus corax). Il Gallo cedrone e Forcello, la Pernice e il Francolino, la Coturnice, lo Sparviero, l’Astore e la Poiana, il Falco pellegrino e il Gheppio oltre alla fauna tradizionale delle aree boschive alpine come il Camoscio, il Capriolo, il Cervo e lo Stambecco.

14 sentieri numerati, ben tenuti, si dipartono da Stelvio-Gomagoi, altri 53 tra Trafoi-Passo Stelvio e Solda per un totale di oltre 100 Km. di percorsi in quota, fin oltre la fascia boschiva (oltre i 2400 m.) sino ai vari rifugi o alle malghe.

 

17 - Trafoi: Le Tre Fontane Sante.

Chiesetta e romitorio intorno al 1890.

 

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STELVIO STATISTICA

 

 

Come avvenuto nella maggior parte dei paesi montani dell’intera penisola, anche Stelvio ha risentito della riduzione della popolazione comunale nell’ambito dell’ultimo trentennio.

L’Annuario Statistico della provincia di Bolzano informa che dai 1.456 abitanti residenti del 1971 si è passati ai 1.405 e 1.345 rispettivamente dell’81 e del ‘91, dai dati comunali correnti risulta un’ulteriore contrazione al 31.12.96 (1.330 ab).

Dalla dichiarazione di appartenenza al ceppo linguistico risulta la suddivisione della popolazione nella forma seguente: idioma tedesco con 1.249 unità, italiano con 25 e ladino con 1 soltanto.

Oltre la metà della popolazione (600 persone abili al lavoro) risultano così occupate: il 16,3% in agricoltura, il 21,2% nell’industria e il rimanente 62,5% in altre attività del terziario.

Buono è anche il rapporto tra numero di abitazioni disponibili ed abitanti pari a 419 abitazioni occupate su 1.314 abitanti di utilizzo.

 

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LO STEMMA

 

"Il Comune di Stelvio, si trova nel circondario della Valle Venosta e comprende le località Stelvio (1310 m.), Gomagoi, Solda e Trafoi [...].

 

Descrizione

Di nero al disco d’oro caricato di una stella a sei foglie alternate di rosso, azzurro e verde.

 

Motivazione

Il disco dipinto si ricollega ad un’antica usanza notturna tuttora viva in questa zona; così anche il colore dello scudo."

 

18 - Stelvio: lo stemma Comunale.

 

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CHIESE DI STELVIO

 

Oswald Kuenzer

 

 

Chiesa parrocchiale dedicata a Sant’ Ulrico

 

Nel 1303 viene citata per la prima volta una chiesa a Stelvio. Nel 1872, durante il "grande incendio del paese", venne completamente distrutta la chiesa eretta tra 1767 e il 1768. Nel 1865 furono asportate le rovine, escluso il campanile, per lasciar posto alla nuova costruzione in stile romanico ultimata nel 1867 su progetto di Anton Geppert di Innsbruck e consacrata nel 1873. I lavori sono stati eseguiti dal capomastro Josef Lenz di Malles. Instancabile promotore di questa imponente chiesa fu il parroco Martin Plangger, ricordato con una lapide posta sulla facciata della chiesa. La costruzione ha una originale disposizione a croce con un coro poligonale, con un portale a volta e con tre rosoni. Le volte incrociate appoggiano su pilastri a parete e la loggia dell’organo su due grandi colonne di tufo. Tutto l’interno della chiesa dà l’impressione di uno spazio molto ampio, luminoso ed armonico. La torre campanaria ha due finestre sonore e un tetto a quattro spioventi. Anche gli altari sono neoromanici. Sull’altare maggiore si trovano vicino ad una bella statua di Sant’Ulrico (proveniente dalla vecchia chiesa) le statue di San Pietro e San Paolo. Alle pareti laterali si trovano a sinistra la statua di un angelo custode con un bambino e a destra una statua di Maria Immacolata, entrambi di pregevole fattura. Ma la Madonna viene venerata sull’altare sinistro, dove accanto alla Madonna con il Bambino si possono vedere la Santa Madre Anna e Santa Notburga. Sotto la Madonna c’è un quadro di San Giuseppe con Gesù Bambino. Sull’altare laterale destro in mezzo, sopra un quadro del Santo Martire Stefano, è rappresentato San Maurizio martire e accanto a lui si trovano il patrono della peste San Rocco e il patrono dei contadini San Isidoro. Gli altari sono stati progettati, realizzati e montati in diversi laboratori nei pressi di Innsbruk. Le sculture sono opera di Domenikus Trinkwalder di Innsbruck. Il crocefisso alla parete con la scritta INRI in tre lingue è originario della fine del 19° secolo. Le pitture su vetro nel coro rappresentano a sinistra San Maurizio e a destra San Giorgio con il drago. Sono stati donati in onore ai caduti in guerra. Uno dei pezzi più vecchi e preziosi della chiesa è il fonte battesimale: una grossa ciotola di marmo bianco ricca di trafori ornamentali della prima metà del sedicesimo secolo. Il piedistallo e il coperchio sono più recenti. I dipinti della chiesa sono opera della famiglia di pittori Pescoller di Brunico, come pure le stazioni della Via Crucis, che sono state ridipinte nel 1996 su bozzetti di vecchie stampe a olio in "stile nazareno". Le cornici sono ancora originali. Un pezzo prezioso della nostra chiesa è pure l’organo di Josef Sies dell’anno 1869 che venne restaurato nel 1991 dalla ditta Felsberg dei dintorni di Chur in Svizzera.

 

19 - Stelvio. Chiesa Parrocchiale: 20 - S. Ulrico: disegno di Oswald

disegno di Robert Wieser Kuenzer, secondo un bassorilievo

sulla campana maggiore nel campanile della chiesa parrocchiale.

21 - Stelvio: la chiesa parrocchiale.

Sanguigna del pittore Severino Della Rosa.

 

Anche il cimitero è degno di essere visitato, sia per la sua bella posizione e disposizione sia per le sue molte croci di ferro battuto e per una fila di lapidi di marmo del 19° secolo tra cui due epitaffi con la doppia aquila del tempo di Biedermeire della famiglia di Mastri di posta Ortler. Entrando nel cimitero, a sinistra della chiesa, si trova la piccola "Grotta della Madonna", molto visitata dalla gente, con una Pietà e un supporto per le candeline votive.

Sulla piccola ma bella piazza davanti alla chiesa si trova un grande crocefisso con attrezzi per la tortura.

 

Patrono della chiesa parrocchiale e perciò principale patrono di tutta la parrocchia di Stelvio è Sant’Ulrico, vescovo di Augusta in Baviera, morto il 4 luglio del 973. Ulrico arrivò ancora bambino nella famosa scuola conventuale dei benedettini in San Gallo e si contraddistinse soprattutto nel grande amore per i suoi sacerdoti, così pure per la povera gente della sua diocesi che visitò più volte. Sant’Ulrico divenne famoso soprattutto per la sua geniale idea di costruire le mura della città e per la vittoria a Lechfeld nell’anno 955 sugli ungheresi che minacciavano la popolazione di Augusta. Questa vittoria venne attribuita alle preghiere di intercessione organizzate e guidate dal loro vescovo Ulrico. Una volta Sant’Ulrico veniva invocato tra l’altro anche durante le invasioni di ratti e di topi. Forse per questo venne venerato anche dai vecchi "stelviani" e nominato loro patrono.

Veniva invocato anche in occasione di inondazioni e probabilmente da questo il suo simbolo fu il pesce.

 

San Martino ai Masi di Piazza

 

Seguendo un romantico sentiero si raggiunge un luogo su una collina dove si gode un bellissimo panorama. Qui è eretta la cappella di San Martino. Questa semplice costruzione con il coro poligonale, finestre ad archi e un piccolo campanile di legno sopra la facciata costruita nel 1823 al posto di una vecchia chiesa. Le graziose statuette di San Zaccaria e Santa Elisabetta, a sinistra e a destra dell’altare, si possono vedere solo il giorno del patrono. Sulla mensa c’è un vecchio quadro di San Martino e sull’altare centrale ce n’è uno nuovo. Il quadro dell’altare di una volta, un San Maurizio del 1780, si trova ora sopra la porta. Degni di nota sono pure i medaglioni sul muro con epigrafe.

 

22 - Chiesetta di Piazza: 23 - S. Martino: disegno da "image"

disegno di Robert Wieser materiale per fogli parrocchiali"

 

Patrono dei Masi di Piazza è San Martino, morto nel 397 vescovo di Tours in Francia. Divenne famoso soprattutto per la sua originale azione alle porte della città di Amiens, dove, anche se non ancora battezzato, era già stato attratto dallo spirito di Gesù, cosicché divise il suo mantello con un povero infreddolito. La parola "la cappella" ricorda ancora oggi questa divisione del mantello di Martino. Infatti questo mantello dovrebbe essere conservato in una piccola chiesa. Questa venne chiamata poi dal mantello "capilla". Questo segno d’amore per il prossimo rimase attuale nel corso dei secoli anche nella chiesetta montana di Piazza.

 

La chiesa di Santa Teresa a Gomagoi

 

Nel 1933 fu costruita, su progetto dell’architetto di Merano M. Wietek, la chiesetta di Gomagoi, al posto della semplice costruzione bombardata all’inizio della guerra di fronte del 1915. Sono particolarmente degni di nota, sull’altare di sinistra, un San Rocco della metà del 17° secolo proveniente ancora dalla vecchia chiesa, così come l’originale quadro di Albert Stolz sull’arco di trionfo.

La patrona di Gomagoi è Santa Teresa del Bambin Gesù, chiamata anche "piccola santa Teresa". Morì ad appena 24 anni, nel 1896, dopo una vita piena di grazia, ma anche piena di inimmaginabili paure e dolori come suora del Carmelo a Lisieux in Francia. Il quadro, nell’abside, la raffigura nelle vesti dell’ordine dei Carmelitani, inginocchiata davanti alla Madre di Dio con Gesù Bambino, il quale le getta fiori. Si dice che, prima di morire, avrebbe promesso di gettare rose dal Cielo, ossia intercedere la grazia di Dio per gli uomini. La sua venerazione è diffusa specialmente nella gente semplice, poiché anche lei percorse "la strada semplice" dell’amore quotidiano, della pazienza e della fedeltà.

 

24 - Chiesetta di Gomagoi: 25 - S. Teresa: foto di una "vita"

disegno di Oswald Kuenzer della Santa

 

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STRADE E VIE DI STELVIO PAESE

E MASI

 

 

Appresso è fornita una breve descrizione delle vecchie denominazioni di strade e vie ancora in uso nel Paese e comune di Stelvio.

La prima denominazione del paese di Stelvio compare in un documento del 1229 che testimonia la derivazione degli stessi nomi dal Retoromancio. Attualmente vengono trascritti secondo la lingua tedesca corrente come si trovano nel libro del paese (Dorfbuch) del 1544.

Nel Registro Catastale (Katasterraufnahme) del 1775-1787, raramente sono citati i nomi delle strade o vie.

Lo studio è stato redatto secondo alcuni criteri base utilizzando le testimonianze scritte e verbali; elencando le strade di accesso al paese e quelle interne facendo riferimento al punto in cui terminano e rifacendosi soprattutto alle indicazioni riportate nei registri catastali del 1775-1787.

 

Eccone l’elenco con l’aggiunta

di una libera traduzione:

 

1) Hauptstraße (Gomagoi-Patzleida) | Strada Principale

2) Dorfstraße (Patzleida-Kirchplatz) | Strada del Paese (Patzleida - Piazza della Chiesa)

3) Oberpatzleida-Weg (Stilfserhof-Oberpatzleida) | Via Sopra Patzleida (Maso di Stelvio-sopra Patzleida)

4) Tortaweg (Fierer Johann-Torta / Haus Peter-Hauptstraße) | Via Curva (Fierer Johann-Curva / Casa Peter-Strada Prin- cipale)

5) Unterpatzleida-Weg (Fierer Johann-Aondio Hans) | Via Sotto Patzleida

6) Kirchweg-Platzhöfe (Schmiedbrücke-Past-Platz) | Via della Chiesa-Masi di Piazza (Ponte del Fabbro-Past-Piazza)

7) Mühlweg (E-Werk-Klotz) | Via del Molino (Centrale Elettrica-Klotz)

8) Karmatschweg (Norre-Segg-Karmatsch) | Via Karmatsch

9) Fassurasteig (oberhalb Fassurabrun) | Sentiero Fassura (Sopra la fontana di Fassura)

10) Eggweg (Platzer Peppi-Trobaschina) | Via Angolo (Platzer Giuseppe-Trobaschina)

11) Kirchweg-Valatsches (Trobaschina-Murhof-Valldelaz- Schöpfnegg-Valatsches) | Via della Chiesa-Valatsches

12) Zganalgasse (Carbongno A.-Zganal) | Via Zganal

13) Steigl (Gasthof Sonne-Winkl) | Steigl (Albergo Sole- Angolo)

14) Unterkirchweg (Gasthof Sonne-Pinggara-Kuntner Josef) | Via Sotto la Chiesa (Albergo Sole-Pinggara-Kuntner Giuseppe)

15) Bödenweg (Kuntner Josef-Böden) | Via dei Terreni (Kuntner Giuseppe-Terreni)

16) Flirigasse (Abzweigung Kuntner Josef/r-Flirihaus) | Via Funivia (Incrocio Kuntner Giuseppe/destra-Casa Fliri)

17) Ölbergweg (Untere Brunn/Platz-Maschent) | Via Monteoliveto

18) Sometairagasse (Untere Brunn/Platz-Sometaira-Enal) | Via Sometaira

19) Biolaweg (Moser Josefa-Biola) | Via Biola

20) Kirchsteig (Grutsch Arnold-Tschenett Otto-Kirchplatz) | Sentiero della Chiesa / (Grutsch Arnold-Tschenett Otto- Piazza della Chiesa)

21) Schluff (Fr. Paulmichl-Frl. Pardeller) | Schluff (Sig.ra Paulmichl-Sig.na Pardeller)

22) Außerwinklweg (Schulhaus-Karmatsch) | Via Fuori Ango- lo (Scuola - Karmatsch)

23) Locherhäuser??

24) Widumweg (Kirchplatz-Widum-Gomperle) | Via della Casa Parrocchiale (Piazza della Chiesa-Casa Parrocchiale- Gomperle)

25) Kurzgasse (Oberhalb Kirchplatz-Segg) | Via Breve (Sopra la Piazza della Chiesa-Segg)

26) Lorggengasse (Widumbrunn-Pfeiffer Rina) | Strada dell’Orco (Fontana della Casa Parrocchiale-Pfeiffer Rina)

27) Widumgasse (Widumbrunn-oberhalb Bäckerei) | Via della Casa Parrocchiale (Fontana della Casa Parrocchiale- Sopra il Panificio)

28) Kirchweg-Faslar (Carbogno Aurelio-Zganal-Vatira-Faslar) | Via della Chiesa-Faslar

29) Vatirasteig (Kirchweg Faslar Abzw. nach. Radanten) | Sentiero Vatira (Via della Chiesa Faslar incrocio per Radanten)

30) Vatiraweg (Radanten-Gaselges / Anfang) | Via Vatira (Radanten-Gaselges / Inizio)

31) Faslarweg (Wegscheide / außer Kreitz-Faslar / Killian) | Via Faslar (Incrocio / fuori Kreitz-Faslar / Killian)

32) Montonistraße (Valgiaba-Montoni) | Strada Montoni

33) Gawierg-Weg (Montonistraße Abzw. Faslar-Gawierg) | Via Gawierg (Incrocio Srada Montoni Faslar - Gawierg)

34) Alter Almweg (Faschldrie-Gawiergweg-Einmündung- Faslar-Valatsches-Griter) | Vecchia Via delle Malghe (Faschldrie-Via Gawierg-Sbocco-Faslar-Valatsches Gri- ter)

35) Faschldrieweg (Karmatsch-Faschldrie) | Via Faschidrie

36) Kleinbodenstraße (Abzweigung Prada Valgiaba - Fragges Spinaplauna-Prader Alpe-Kleinboden / Furkelhütte) | Strada Piccolo Terreno (Incrocio prato Valgiaba-Fragges Spinaplauna-Malga di Prato-Piccolo Terreno/Furkelhutte)

37) Valatsches-Weg (Abzweigung Kleinbodenstr. / ob Platz- Valatsches) | Via Valatsches (Incrocio Strada Piccolo Terreno / sopra Masi di Piazza-Valatsches)

38) Stilfseralm-Forststraße (Abzweig. Valatschesstr. Stilfseralm) | Malga di Stelvio-Strada Forestale (Incrocio Via Valatsches-Malga di Stelvio)

39) Runggweg (Abzw. Kleinbodenstr. ober Past-Platz) | Via Rungg (Incrocio Strada Piccolo Terreno sopra Past - Piazza)

40) Tialweg (Abzw. Kleinbodenstr./Valgiaba-Tiaf) | Via Tial (Incrocio Strada Piccolo Terreno/ Tiaf)

41) Stoanagoss (Tiaf-Valgiaba) | Via dei Sassi

42) Gasslweg (Tiaf-Sportplatz) | Vicolo (Tiaf-Campo Sportivo).

 

26 - Stelvio: planimetria delle strade intorno al paese.

 

*

 

I KLOSEN DI STELVIO

 

 

"Quando l’ultimo sole dorato scompare dietro le cime bianche dei monti, il 5 dicembre, vigilia di San Nicolò, inizia a Stelvio la rappresentazione popolare detta del Klosen (Nikolasen = Nikolausspielen).

É preannunciata da robusti suoni di campanacci ai quali si frammischia presto un coro scomposto di urla stonate.

L’atmosfera cristallina per il vento gelido che scende da nord-est, assume una cadenza senza tempo. Rimbalza sonoramente la memoria di ere primordiali, giunte fino a noi attraverso codici non scritti, bensì impulsivi, di una radicata tradizione colma di simbologie esistenziali e naturalistiche.

Sapendo leggerli, si scopre dietro al coagulo del cosiddetto folclore una secolare sequenza di modi di essere e di sentire e di comportarsi che trova giustificazione nel paesaggio e nello spazio cristiano.

[...] A Stelvio, l’usanza dei Klosen, che genericamente è diffusa nell’intera area tirolese e bavarese, si è mantenuta con la freschezza ingenua della rappresentazione comunitaria che, in fin dei conti, è il germe del teatro dell’arte. L’azione popolare è collettiva. Movimenti e pause, tutti legati da una simbologia attiva: l’uomo, l’ambiente, la natura, la vita, l’aldilà, vi giocano il ruolo di primi attori nella personificazione di maschere fittamente allegoriche e con convincenti sottolineature didascaliche.

Nel quadro fa capolino un miscuglio di cultura reto-romancio-tedesca. É un fatto che colpisce. Tramanda, con la liturgia del popolo, una lezione aperta di storia umana che nessuno è stato capace di soffocare o di imbrogliare. É la lontana eco delle paure, delle credenze, delle fiducie di popolazioni che si sono perdute per strada; e che pure rivivono nella trama delle sovrapposizioni successive: religiose e sociali. Il tutto sul palcoscenico sconfinato della natura libera.

I Klosen sono legati alla diffusione del culto di San Nicolò vescovo di Mira. Figura tra la leggenda e storia, San Nicolò fu uno dei santi più popolari della Chiesa greca e latina. Su di lui e sulla sua esistenza terrena permane una gran confusione che l’iconografia e la fantasia popolare hanno amplificato. Il santo visse nel IV secolo. Il suo culto si diffuse a macchia d’olio nell’Europa centrosettentrionale dopo la traslazione delle reliquie a Bari avvenuta nell’XI secolo.

Grave vegliardo, fluente barba canuta, rivestito di nobile tunica candida, insignito della dignità del pallio e onorato della pènula nera, vediamo San Nicolò nella più antica raffigurazione, del secolo VIII, esistente nella basilica di Santa Maria Antiqua a Roma. La scultura tedesca lo idealizzò ulteriormente caratterizzandolo con il pallio d’oro, il pastorale, la mitra. Così è raffigurato nella statua del tabernacolo gotico del portale laterale del duomo di Merano.

Più di duemila chiese gli sono dedicate in terra tedesca e francese, quattrocento circa in Inghilterra, quaranta in Irlanda, ventiquattro chiese curate nel Tirolo del Sud. Eppure la celebrità di questo santo è più popolare che ufficiale. La sua presenza ideale fu legata al ciclo natalizio-invernale.

Egli è l’apportatore di luce materiale e spirituale, di doni ai bambini, di auspici augurali alla comunità, di benedizione alla terra che dorme sotto la neve.

Lo stesso "Santa Claus" che gira nelle metropoli americane consumisticamente strumentalizzato paganizzando la ricorrenza del Natale, è una diversione di S. Nicolò. Kläsen, in dialetto tirolese venostano Klosen, è il plurale di Klas, Klos in venostano, che è il diminutivo di Nicolò.

La festa che si è arroccata a Stelvio ha ben altro significato pur nella crudezza del suo svolgersi. É un condensato mimico della lotta tra gli spiriti buoni e gli spiriti cattivi che giunge alla catarsi della conversione generale.

Il movimento si svolge nel prospetto cosmico della luce solare che, per leggi astronomiche, viene a diminuire di potenza e ampiezza al solstizio invernale che cade il 21 dicembre e che è in contrapposizione con il solstizio d’estate che cade il 21 giugno. Sono la brevità dei giorni e la lunghezza delle notti a provocare lo sgomento e ad apportare le malattie, l’insidia degli spiriti cattivi negli uomini, nei campi, nei boschi, nei pascoli, nelle case degli uomini.

Ecco, dunque, gli atti in cui si divide il teatro di scena all’aperto dei Klosen.

Gli attori devono avere compiuto i quattordici anni e non avere superato i diciannove. Provvedono all’abbigliamento e si dividono in tre gruppi che sono una specie di club: i Klaubauf o Dämonem i "Brutti" o "Demoni", gli Esel o Scheller gli "Asini" e i Weissen i "Bianchi" o "Belli".

I Klaubauf rappresentano gli spiriti più cattivi, scatenati e scatenanti. Recano ghignanti maschere di legno intagliate in tronchi di cirmolo. Sono acconciate con cimase cornute e con velli di pecore di derivazione pastorale. Oltre che con la maschera, i Klaubauf si camuffano con i panni più informi e colorati che possono trovare onde far risaltare l’espressione mostruosa dei personaggi che rappresentano. Stringono nelle mani pesanti catene con le quali tentano di aggredire e di legare le ragazze. É evidente l’allusione alla leggenda secondo la quale San Nicolò sottrasse alla violenza alcune fanciulle vergini.

Gli Esel raffigurano spiriti più benigni dei Klaubauf. Loro caratteristica è l’innocuità. Non disdegnano di aiutare gli uomini. Non sono demoni perfidi. Sono piuttosto gli esseri leggendari che popolano le montagne, i boschi, le gole incise dai torrenti, le cascate, i campi, le fonti, le stesse case, i masi e le baite abitate dagli alpigiani. Si limitano a incutere paura o a seminare la superstizione. Loro contrassegno sonoro è l’ossessionante suono dei campanacci che tengono legati sul corpo. Per questo sono anche chiamati Scheller. Si scalmanano per scacciare il buio e per invitare la natura che dorme sotto il gelo a germogliare presto. Perciò il loro paludamento è vistoso, coloratissimo. La loro maschera non è di legno, ma di pelle. Precedono e si accompagnano al gruppo dei Weissen che è presieduto da San Nicolò.

Santa Klos è acconciato alla maniera iconografica tradizionale. É scortato dagli accoliti della fiducia e della speranza. Essi sono: il Lichtroger o "Portatore di luce" che con la lanterna accesa scioglie le tenebre; il Buchtroger o "Portatore del libro" che tiene il Libro della parola di Dio dove ci sono scritte a caratteri d’oro le grazie dalla comunità e da ogni persona del paese ricevute durante l’anno che sta per chiudersi; il Rutentroger o "Portatore delle verghe" che servono a punire i ragazzi che non sono stati buoni durante l’anno; il Gabentroger o "Portatore dei doni" cioè della gerla dove sono raccolti i doni per i bambini.

Il gruppo dei Weissen è completato dal Diavoletto rosso. Egli segue con ostinazione San Nicolò ad ammonire che la tentazione è ovunque presente. Simbolo del male, il Diavoletto rosso è stato disarmato da San Nicolò ed è costretto a trotterellargli dietro come un cane. Tale è la versione mimica della leggenda.

 

27 - Stelvio: i Klosen lungo la via.

 

L’ultima figura riporta la rappresentazione della sfera magica della favola alla realtà della comunità degli uomini nella quale la rappresentazione stessa si svolge. Si tratta dello Scharasch, il "gendarme". É rivestito dei simboli del potere militaresco ed è incaricato dell’ordine pubblico. É egli infatti che guida il corteo e trattiene gli spettatori. Sostituisce la forza pubblica ufficiale. É nominato dall’apposito comitato che è composto, e organizzato, dai coscritti dell’anno. Un tempo era eletto dal Consiglio comunale evidentemente allo scopo di frenare certe aggressività baccanali che potevano ben succedere in una festa dallo spiccato carattere rusticano.

La rappresentazione dei Klosen principiò al calar del sole. Gli Esel si attestarono a Gaschitsch, in cima al precipitoso sentiero innevato che sovrasta il villaggio. Ivi attendevano i Weissen. Quando i Weissen giunsero con San Nicolò in testa, tutti gli attori si inginocchiarono levandosi la maschera. Quella azione sciolse la sarabanda. A corsa sfrenata, sbattendo i campanacci, un Esel si buttò fino a metà sentiero provocando il generale fuggi fuggi della gente che nel frattempo si era raccolta. L’Esel si ributtò sul sentiero e la gente si sparpagliò nuovamente nei prati. La cosa si ripeté tre volte. Intanto il sole era calato a picco dietro le montagne. Allora iniziò la calata compatta delle maschere fra una frastornante girandola di campanacci.

Gli Esel si abbandonarono ad acrobatiche capriole, pizzicando sul braccio le persone che riuscivano a ghermire, mettendo in mostra i vestiti confezionati con vistose fettucce colorate, danzando e gesticolando.

Contemporaneamente uscirono alla ribalta i Klaubauf.

Altissimi, neri nella penombra del crepuscolo, un reticolato di maschere orribili. Avanzarono verso Pazleida, al di là della Schriedbrücke, il ponte sul Rio Tramentan, una compatta muraglia di bestioni frementi. Stringevano in pugno le catene e buttavano fuori le più ingrate urla di cui erano capaci. Sono demoni che rincorrono gli spettatori, e incatenano quelli che afferrano e declamano digrignando i denti: "Tu hai fatto questo o quello durante l’anno, e ora ti prendo". L’incontro dei Klaubauf con gli Esel presieduto dai Weissen avvenne tra le pittoresche viuzze di Pazleida. San Nicolò e i suoi accoliti intrapresero il giro delle case recando dolciumi e frutta che l’organizzazione dei Klosen aveva acquistato con i soldi della questua.

Nel frattempo, sulle strade, la danza dei due gruppi di spiriti imperversava ritmata dai rumori e dalle grida assordanti che accendevano la frizzante atmosfera dicembrina.

Le danze, le pantomime, le azioni allegoriche, sia individuali che collettive, perseverarono e si alternarono aggredendo l’intero villaggio. Stelvio assisteva a un movimento sonoro che rievocava con pienezza fantastica i tempi passati forse di quando si parlava la lingua dei Reti e la gente viveva nell’immensa trama della natura ingrata e fortissima. Poi dalla valle del Rio Solda salì la notte: i gruppi convergerono sulla piazza della chiesa parrocchiale di Sant’Ulrico. Sul prato s’intrecciarono un carosello frenetico e una danza selvaggia. Sembrava che un misterioso tamburo regolasse la movenza di ritmi preistorici. Gli spettatori trovarono salvamento al di là del cancello del cimitero, spazio sacro che i diavoli devono rispettare. É la reminiscenza di un radicato uso medioevale.

Era quasi notte. Suonò la campana dell’Ave Maria della sera. Il vento di nord-est riprese vigore. Tagliava il viso. Avvenne l’inatteso miracolo. Tutti gli spiriti buoni, meno buoni, cattivi, arrestarono la mischia. Il silenzio subentrò e la campana si udì in tutta la valle. Gli spiriti si tolsero la maschera. Si buttarono in ginocchio. Santa Klos, ritto sulla porta della chiesa, invitò alla recita dell’Angelus. Il significato è attinente: la vittoria del cristianesimo sul paganesimo. Solamente Santa Klos prese infatti posto sulla soglia del tempio. Egli è santo ed ha diritto di entrare nel luogo consacrato a Dio dagli uomini. Così spiegò l’uomo che era vicino a me. Era quasi notte. Il parroco Hans uscì sul sagrato in cotta bianca e stola. Mi sembrò che l’atto avesse il senso della riconciliazione ingenua tra le due sacralità. La gente faceva arco attorno. Si respirava un’aria di partecipazione convinta e di festa. Sembrava di assistere a una cerimonia solenne nella chiesa affollata dall’intero villaggio.

 

Nel cielo scintillavano le stelle.

 

Vivissimo, nella rappresentazione dei Klosen, è il ricordo della tensione medioevale con gli esaltanti contrasti tra il bene e il male, la luce e il buio, l’amore e l’odio, la vita e la morte, il paradiso e l’inferno, le processioni e il suono liberatore delle campane benedette, il silenzio e il rumore, la salute e le malattie, l’angelo e il diavolo, l’abbondanza e la carestia.

Altrettanto viva vi si scorge la rimembranza della diffusione del cristianesimo missionario e della sovrapposizione, da esso portata, dello spirito antropocentrico su quello animistico pagano.

C’è anche l’aspetto paesano: la grande festa durante la quale, e per l’intera notte, si cimentano gli attori, bevendo le uova nei fienili, andando con le lanterne accese di casa in casa per far allegria assieme. La festa ha un antefatto e un epilogo.

Nei giorni precedenti San Nicolò si usa "fare i Klosen". "heint tean mo Klosn gean", "Andiamo a fare i Klosen", si dice nel dialetto della Val di Solda. Il ciclo celebrativo di dicembre si spiritualizza dopo la gran baldoria dei Klosen, nella tradizione del canto degli inni popolari di Natale.

Il trittico è pensoso, lieto, dolcemente intimo. Il Lenzl-Lied, canto dell’attesa, si intona nel pomeriggio della grande vigilia. La canzone del "piccolo Lorenzo" è melodiosa come un coro polifonico del Rinascimento. I ragazzi la modulano passando per le contrade del villaggio ripetendo l’invito ai pastori di svegliarsi. Così fece l’angelo invitato dal Signore nella campagna di Betlemme.

 

Auf, auf ihr Hirtenleut,

steht auf bei guter Zeit;

hebt eure Augen auf,

es ist schon Zeit ...

"Su, su, voi pastori

Alzatevi di buon’ora;

Alzate i vostri occhi

É già ora ..."

 

La canzone continua con un invito al "piccolo Lorenzo":

 

Lenzl, du voran, geh

leg di fein sauber an,

dortn beins Nachbar Stall

kemmen wir z’samm ...

"Piccolo Lorenzo, vai avanti tu,

mettiti il vestito bello,

dinanzi alla stalla del vicino

ci troviamo ..."

Il Josef-Lied, canto di Giuseppe, si canta la notte di Natale. Racconta come Giuseppe cercò la capanna dove nacque Gesù.

La prima strofa dice:

 

Und ich bin dahier ein Fremder,

Josef tu ich mich nennen,

hab gar kein große Freud,

muß liegen auf der Weit ...

"Qui io sono solo uno straniero,

Giuseppe fai che io sia chiamato

Non ho una grande gioia,

Devo stare nella dimenticanza ..."

 

Il Neujahrs-Lied, canto del nuovo anno, si canta il primo giorno dell’anno. Racconta della misericordia del buon Dio che ci ha donato il Tempo. Usiamolo bene questo tempo perché non sappiamo se termineremo l’anno che sta nascendo. Il prologo dice:

Lost auf, ihr Herrn, lost auf, ihr Frau’n,

lost auf, ihr Jüngling und Jungfrau'n;

lost auf, ihr Bauern und Handwerksleut,

so ihr reich oder arm seid ! ...

Prologo:

"Su alzatevi, voi uomini, su alzatevi voi donne,

Su alzatevi, voi ragazzi, su alzatevi voi ragazze;

Su alzatevi, voi contadini, su alzatevi, voi lavoratori,

Così voi ricchi o voi poveri !"

 

La prima strofa del canto dice:

 

Wohl-Vornehme und Gemeine,

Junge, Alte, Groß’ und Kleine,

Loset auf, es ist schon spat,

da es schon geshlagen har ! ...

"Gente nobile e comune

Giovani, vecchi, grandi e piccoli,

Ascoltate, è già tardi,

Perché l’ora è già suonata ..."

E tutto questo è spontaneo, musicale come la bellezza dei monti incrostati dai ghiacciai o come le stelle delle notti serene. Fortunatamente non è stato ancora rapinato dal turismo."

 

28 - Stelvio: i Klosen lungo la via.

29 - Stelvio: i Klosen presso la chiesa.

 

*

 

LEGGENDE

 

 

La leggenda del Gigante Ortles - 1

 

A mezzanotte il maniscalco Tschenett di Stelvio fu svegliato bruscamente da un cavaliere, che gli impose di alzarsi e di ferrare il cavallo. Poiché esitava a lasciare il letto, il cavaliere gli pose tre dita sulla testa e allora il dormiente brontolando si alzò. Scese nella fucina, attizzò il fuoco, aiutato dal cavaliere che azionava il mantice. I ferri si arroventarono presto; l’artigiano lesto lesto li modellò uno dopo l’altro su misura, li raffreddò nell’acqua e li applicò agli zoccoli del quadrupede.

Il cavallo era tutto nero; durante la ferratura fu tranquillo; e solo quando girò la testa, il maniscalco notò che dai suoi occhi sprizzavano scintille di fuoco.

A lavoro ultimato, il cavaliere contento diede al maniscalco una pacca sulla spalla, gli ordinò di non spiare dove si dirigeva col cavallo e, in compenso per il disturbo arrecatogli, gli riempì il berretto di monete d’oro.

L’artigiano, curioso, non ubbidì all’intimazione: uscito dalla fucina, vide che cavallo e cavaliere avvolti in una palla di fuoco, volavano verso le pareti gelate dell’Ortles, lasciando dietro di loro una scia di fiamme.

Rientrato nella fucina per prendere il berretto con le monete, al loro posto trovò foglie secche; sulla testa, dove il diavolo lo aveva toccato con tre dita, gli rimasero, fin che visse, tre macchie bianche.

30 - Solda: seracchi sul ghiacciaio.

31 - Cima Tabaretta: l’Ortles visto nei pressi del Rifugio Payer.

 

I Topi di Glorenza (Nella vicenda dei topi di Glorenza, Stelvio ha la sua parte)

 

Nel 1318, Glorenza divenne sede di un tribunale per l’Alta Val Venosta. Fra le sentenze, pronunciate dal Giudice della città, ricorre alla mente quella passata alla leggenda a riguardo dei topi campagnoli, non priva di interesse folcloristico.

Nel 1519 un’orda immensa di topi di campagna aveva infestato Stelvio, minacciando rovina e carestia. Il mezzo più efficace per liberarsene sarebbe stato di dare la caccia ai piccoli roditori; ma ciò non era consentito dalle leggi, le quali, anzi, avevano il compito di tutelarli.

Occorreva, quindi, una sentenza del giudice e si dovette, pertanto, tenere un regolare processo.

Infatti, venne iniziato, secondo le norme del diritto romano, il 26 ottobre 1519 dal Giudice Willj v. Hasslingen, lo concluse il 2 maggio 1520 il Giudice Konrad Soergser, dopo energici interventi del Pubblico Ministero Minig Schwarz, dell’avvocato difensore dei topi Hans Grienebner e di quello del Comune di Stelvio.

Sentita la corte composta di dieci giudici popolari, il giudice emanò la seguente salomonica sentenza:

"I topi, certamente meritevoli di riprensione per il loro contegno alquanto sconveniente, devono abbandonare i poderi comunali e privati di Stelvio. Il Comune, però, dovrà mettere a loro disposizione un prato di sufficienti dimensioni lontano dal paese e siccome un tal prato, di proprietà di Stelvio, trovasi soltanto al di là (sulla sponda sinistra) dell’Adige, il Comune dovrà costruire un ponte per rendere possibile il passaggio dei topi.

Coloro che fra essi, che per essere troppo giovani, o ammalati o per altre ragioni, non potessero sostenere le fatiche del viaggio, potranno rimanere a Stelvio fino a quando le circostanze ne consentano la partenza, senza molestia alcuna da parte di quel Comune".

Sarà leggenda o sarà anche un po’ storia?

 

La balla di burro

 

Fischia il vento, gelido e furioso, nell’alta Val Venosta. Lo sa la gente del luogo, che provvede a ripararsi; lo sanno i forestieri, presi alla sprovvista.

La neve polverosa mulina vorticosamente, e nel turbine la strega Berchta, seduta su di un baroccio trainato da due diavoli cornuti, si abbandona alla sua consueta corsa sfrenata. É più veloce del vento; e, con un rapido colpo di mano, agguanta al suo passaggio i curiosi che osservano dai balconi privi del tradizionale Crocifisso, li trascina con sé e li depone al di là dei monti e dei ghiacciai, quasi sempre nelle saline di Hall, nella Valle dell’Inn.

Da molti anni, racconta la leggenda, non si vede più la cavalcata della strega, perché fu interdetta dal Papa per cinquant’anni. Ritornerà, continua la novella, ma quando?

Però da secoli la cavalcata non si ripete più (Stelvio).

 

La leggenda del Gigante Ortles - 2

 

"Amico Ortles, gigante bassetto

sei più piccolo del più modesto nanetto!

In mille anni sei ben cresciuto

ma poco ti giova, vecchio barbuto!

Il nanetto di Stelvio sopra il tuo testone

e più alto di te, amico brontolone!".

(libera traduzione dal tedesco)

Oggi l’uomo va in montagna spinto dalla sua innata volontà di affermare se stesso, dal suo istinto di conquista, dal desiderio di misurarsi con le forze della natura. L’alpinismo è diventato un movimento di massa.

Il bravo, intraprendente nanetto di Stelvio dell’intramontabile leggenda, la cui audace impresa alpinistica divertì molte generazioni ha trovato, dopo tanti secoli, moltissimi imitatori.

 

I "Salvans, le Ganes, e l’Orco" della Ladinia

 

Le leggende ladine più diffuse e più care alle popolazioni sono quelle dei Salvans, delle Ganes e dell’Orco.

I Salvani erano esseri misteriosi, rozzi, dotati di forza erculea. [...] Le Gane erano le donne dei Salvani. Bellissime, affabili, generose, si mostravano ai valligiani con più frequenza dei loro uomini. [...] il nome Orco resiste ancora nella parlata e nelle leggende delle Alpi retoromane cristianizzate dove si parla la lingua italiana. L’orco è comune nel Trentino, oltre che nella Ladinia, ed è conosciuto anche col nome volgare di "Bao".

Nella Val Venosta percorsa dall’Adige e nelle vallette che in essa sfociano, tra il Passo di Resia e Merano, l’Orco è conosciuto quasi ovunque col nome di "Norgg". La voce latina "Orcus" scomparve già nel Medio Evo.

Le rarissime leggende del Lorgg sono molto modeste, quasi insignificanti.

[...] Il Lorgg di Stelvio era uno dei rari esseri misteriosi che si trasformavano in giganti. Avevano un occhio solo, come il Ciclope Polifemo. Nella notte di Natale girava per le vie del paese, e, se incontrava un bambino, lo rapiva. A Stelvio c’è ancora oggi una viuzza del centro chiamata "Vicolo del Lorgg". [...] "

 

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"MASO CHIUSO"

E IDENTITÀ’ LADINA

 

 

"In tutta l’area atesina, a partire dal Sesto secolo, compare il "maso chiuso", un istituto giuridico che regola la trasmissione ereditaria dei masi, le "fattorie di montagna". Per fare in modo che la proprietà rimanga indivisa - "gemeiner Hof", come la chiamano i sudtirolesi - si stabilisce che essa possa passare in eredità a uno solo degli aventi diritto (non necessariamente il primogenito).

Nel 1770 Maria Teresa d’Austria fissa le regole di questo istituto giuridico, poi ribadite dalla Dieta di Innsbruck nel 1910 e successivamente riconosciute anche da una legge provinciale italiana del 1954. Quest’ultima, integrata nel 1962, in pratica costituisce un’eccezione alle leggi dello stato italiano in materia di successione, secondo le quali l’eredità va divisa tra i discendenti diretti in parti predeterminate.

Oggi i masi chiusi sono più di diecimila e si trovano soprattutto in Val Pusteria, in Val d’Isarco, nei comprensori del Burgraviato e del Salto-Sciliar.

La struttura rigida del maso ha contribuito a conservare l’unità dell’azienda silvo-pastorale (coltivazioni, pascolo e sfruttamento del bosco). Ciò è evidente se si paragona la situazione altoatesina con quella del Trentino, dove i masi chiusi non esistono e la polverizzazione ereditaria della proprietà ha modificato il volto del territorio favorendo però a sua volta una progressiva specializzazione nelle coltivazioni. [...]."

 

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MASI E DECORAZIONI

 

 

Quella di affrescare, dipingere o semplicemente decorare le facciate delle proprie dimore, oggi più frequente, è una tradizione tipica del Tirolo e dei popoli germanici. Tra immagini di San Floriano indispensabile protettore che scaccia gli incendi, immancabile sulla facciata di ogni caserma dei pompieri e di abitazioni e fienili tuttora costruiti in legno, di San Cristoforo, protettore dei viandanti, sempre numerosi ed in ogni secolo in alta Venosta, è facile trovare sui muri delle stalle e dei ricoveri San Valentino, protettore degli armenti, Sant’Hubertus, protettore dei cacciatori, raffigurato molto spesso insieme ad un cervo con una croce tra le corna, e il Crocifisso diffusissimo e nelle più svariate posizioni, nonché di altre figure in bilico tra il sacro e il profano, innumerevoli sono le espressioni, spesso artistiche, che colorano gli insediamenti umani e punteggiano il paesaggio arricchendolo ulteriormente. Tutto ciò, forse, non è dovuto solo ad una devozione religiosamente osservata, ma anche al piacere di esternare attraverso le immagini o le sculture, sia nelle più articolate che nelle più semplici, una forma di efficace e perpetua comunicazione visiva.

La storia delle immagini murali ha origine medioevale mentre notevole è lo sviluppo in età rinascimentale anche per la presenza di pittori itineranti che si accontentavano di poco denaro, vitto e alloggio, in cambio del proprio lavoro. Comparvero allora le prime meridiane e in età barocca l’arte fu incentivata dalle famiglie più facoltose che amavano proiettare all’esterno la loro grandezza.

Anche l’art nouveau ha lasciato il suo segno tra otto e novecento, mentre oggi il dipinto, o meglio la decoazione ha più la funzione di indicare, al pari di un’insegna, il lavoro svolto dal padrone di casa.

Nota in Alto Adige è la figura di Kuperion, artista venostano che girava di paese in paese e che per visitare la Biennale si recò a piedi sino a Venezia.

 

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Salute: I BAGNI DI FIENO

 

 

Bagno di fieno o Heubad corrisponde ad una tecnica curativa diffusa in Alto Adige e nel Trentino sin dall’antichità.

Si tratta di un insolito bagno che nella contraddizione del termine trova però riscontro nella grande sudorazione che questo produce.

Non tutti i fieni sono adatti al riguardo, ma soltanto quelli ricavati dai prati alti posti oltre i limiti boschivi e, secondo alcuni, in particolare di alcune aree alpine (Sciliar, Monte Rocca).

Caratteristica peculiare del fieno, appena tagliato, è quella di iniziare una lunga fermentazione ed aumentare di temperatura (sino a 60°) tanto che occorrono precauzioni sia nel primo trasporto che nella preparazione del cumulo per il "bagno".

É costume diffuso quello di immergere in solitario o in gruppo e adagiare il paziente avvolto in un lenzuolo in una specie d’incavo grande quanto una tradizionale vasca da bagno e lasciarlo coperto con altro fieno per meno di un’ora.

Tradizione vuole che a questa terapia si sottopongano coloro che soffrono di forme reumatiche, artritiche, neuritiche nonché gottose e di obesità oltre alle malattie del ricambio e nell’esaurimento.

Certo è che il sollievo prodotto dall’elevato calore della fermentazione di piante quali le primule, le genziane, le arniche, le artemisie, le nigritelle, le valeriane ed altre ancora portatrici di salutari proprietà benefiche è ampiamente riscontrato da chi ne usufruisce (compreso lo scrivente).

 

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I CUSTODI DELLA LIBERTÀ’

 

 

Non c’è festa o manifestazione popolare che non li veda presenti, con i loro costumi caratteristici e i loro stendardi: sono gli Schützen, sorta di guardie civiche d’antichissima tradizione.

Già verso la fine del ‘200 venivano emanati statuti di libertà per i contadini tirolesi tra l’altro impegnati nella difesa dei confini dei loro paesi e più in generale del Tirolo.

Nel 1511 l’imperatore Massimiliano I codificò in un documento le tradizioni degli Schützen, ribadendo che la loro doveva essere un’associazione soltanto difensiva.

Nell’ambito della prima guerra mondiale, una legge impose agli Schützen di far parte della Landsturm, la milizia territoriale austriaca con il riconoscimento del diritto di portare le armi nelle sfilate e nelle occasioni importanti. Nel ‘14 vennero inquadrati militarmente a difendere i confini con l’Italia. Di loro così parla Luciano Viazzi " "Dove sono, resto; e sparo a colpo sicuro." In questo motto si poteva condensare l’attività degli Standschützen. Questi montanari, avversi ai sofismi e alle sottigliezze politiche, difendevano la loro patria, con alto senso del dovere e anche con entusiasmo, perché dietro le loro trincee c’erano i campi, i boschi e i loro masi. In nessun altro popolo come nel tirolese il sentimento della propria terra e il sano egoismo contadino sono tanto profondamente radicati. ... Questi soldati furono i primi difensori del Tirolo, rinnovando le gesta dei franchi tiratori di Andreas Hofer. ..."

Attualmente esistono ancora 139 compagnie di Schützen in Alto Adige; inoltre, altre cinque sono nel Trentino. Ciascuna compagnia è formata da circa 40 persone.

I costumi che indossano sono quelli dei rispettivi paesi.

 

*

 

 

ANDREAS HOFER

 

 

 

"Nella "stube" seicentesca del "Sandwirthof", il maso-osteria tra San Martino e San Leonardo in Passiria, l’oste e com-merciane di cavalli Andreas Hofer non ebbe difficoltà ad organizzare la rivolta.

Il locale era situato su una strada trafficata di carrettieri e viandanti. Lui era conosciuto fino alla Pianura Padana per i suoi affari con gli allevatori di bestiame ed era stimato dai valligiani, tenacemente attaccati alle tradizioni ed alla loro autonomia individuale e collettiva.

Non fu difficile nel 1809 per l’uomo destinato a diventare l’eroe nazionale del Tirolo, mettersi alla testa dell’insurrezione armata contro il Regno di Baviera al quale l’Austria aveva dovuto cedere il Tirolo dopo la sconfitta subita quattro anni prima con Napoleone.

Al nuovo scoppio della guerra tra Francia ed Austria, in accordo con il comando generale austriaco, i contadini tirolesi si sollevarono e marciarono dietro al cappello a larghe tese del loro "Oberkommandant" sbaragliando i nemici fino ad Innsbruk, guidati dalla fede incrollabile nella monarchia asburgica e dall’intransigenza verso le odiate innovazioni introdotte dai bavaresi nello spirito della Rivoluzione francese.

Gli austriaci ebbero meno successo militare degli insorti e furono nuovamente sconfitti. Andreas Hofer però non depose le armi. Portando con sé, assieme alla pistola, l’inseparabile Bibbia, continuò a guidare i suoi contadini all’assalto. Rimasti soli a combattere i francobavaresi gli insorti soccombettero.

L’eroe tirolese si dette alla latitanza sui monti della sua Val Passiria, inseguito da una cospicua taglia.

Quella che fece gola al delatore Franz Raffl che guidò i francesi lungo il ripido sentiero che portava alla Capanna Pfandler, sprofondata nella neve e nel buio.

Hofer fu sorpreso nel sonno assieme alla moglie e al figlioletto.

Cominciò quella notte del 27 gennaio 1810 la strada verso il patibolo dell’oste di San Leonardo.

Fu portato a Mantova, dove, nonostante l’intercessione dei mantovani e la sottoscrizione di 5000 scudi, fu fucilato sui bastioni.

Un monumento ricorda quel capo di un piccolo ma tenace popolo di montanari che osò sfidare Napoleone."

 

32 - Andreas Hofer

 

*

 

GUSTAVO THÖNI

Il leggendario campione di Trafoi

 

 

 

Nasce nel 1951, naturalmente a Trafoi, "Siccome mia mamma (Anna) era molto presa dalla conduzione dell’albergo e mio papà (Giorgio) faceva il maestro di sci ed era occupato sia d’estate che d’inverno, a quei tempi si occupava di me la zia Hilda" e naturalmente il nonno Giorgio che fabbricò per lui i primi sci di legno, i secondi, rossi, li portò Gesù Bambino, quindi, a nove anni, i primi sci con lamine incassate, a tredici anni, la prima gara ufficiale e l’affermarsi di una formazione agonistica sempre in crescendo.

Figlio d’arte, apprende la tecnica di sciatore venendo giù, "secondo natura", come gli hanno insegnato i genitori.

Importante fu il 1975, anno in cui "si univa in matrimonio con Ingrid Pfaundler, una ragazza bionda, dagli occhi azzurri e lo sguardo limpido che si era innamorata a prima vista mentre Gustavo sistemava le tegole di legno sul tetto della chiesa di Trafoi." Dall’unione sono nate Petra, Susi e Anna.

Nel 1992 riceve il Premio Nazionale "L’ATLETA NELLA STORIA" dal Panathlon Club, nella motivazione si trovano riassunte molte delle sue doti: "Gustavo Thöni per tutto un decennio della sua giovinezza, dal 1970 al 1980, dopo un’infanzia e un’adolescenza piena di promesse che suo padre capì e coltivò, è stato sulla vetta del mondo, sopra eccezionali avversari di tutte le Nazioni che non riuscivano a vincerlo, accanto a compagni di squadra che godevano di imparare le sue lezioni, davanti a un’immensa folla di ammiratori che scoprivano in lui la limpida innocenza dello sport che non vuole clamori, che brilla di splendori interni, che parla con la voce strana e inconfondibile dei gesti perfetti e dell’anima schiva. Ha vinto quattro Coppe del Mondo nel 1971, nel 1972, nel 1973 e nel 1975; è stato primo ai Giochi Olimpici di Sapporo nel 1972; è stato primo a St. Moritz nel Campionato Mondiale del 1974; ha vinto ventiquattro gare di Coppa del Mondo (n.d.r.: ai giochi invernali del ‘72 prende l’oro nel gigante, suo cugino Rolando è bronzo nello speciale). Dal 1982 fa parte dello staff tecnico della Nazionale maschile di Sci Alpino; da quattro anni si adopera per far capire ai campioni quanto costa essere campioni. Come dire che in tutti i sensi, pigliando la forza dai silenzi in cui ama vivere, con una riservatezza che riesce sempre a diventare calore d’amore, ha rinfrescato, ha creato, ha tramandato la vita".

Dopo Zeno Colò, mito dei giovani del dopoguerra, raggiunti i più ambiti traguardi dello sci alpino, Gustavo Thöni ha voluto trasferire il suo stile agli altri, primo tra questi ad Alberto Tomba.

Figura nobile, riservata, schiva, di esemplare semplicità, aspetti diffusi tra molti abitanti delle alte valli sudtirolesi ove la vita si svolge a stretto contatto con l’incantevole e austero ambiente alpino ammantato da distese di neve e ovattati silenzi, oggi vive tra famiglia, varie attività economiche e sportive e con il proposito un giorno di occuparsi a tempo pieno dei giovani, insegnare ai ragazzi.

 

33 - Trafoi: Gustavo e Rolando Thöni rientrano trionfanti dopo

le Olimpiadi di Sapporo del 1972.

 

*

 

STELVIO - INFORMAZIONI

(Stelvio-Gomagoi-Trafoi)

 

Curiosità

- Parrocchiale di Stelvio dedicata a Sant’Ulrico e annesso cimitero.

- Riserva di caccia di Stelvio/Fragges (ove è possibile ammirare in semilibertà caprioli e cervi).

- Museo del paese di Stelvio (*) - Casa della Comunità: orario di apertura dal 20.07 al 01.10, domenica, mercoledì, venerdì dalle ore 15.00 alle 18.00 nella casa sociale del paese (ove è possibile osservare una esposizione di oggetti e fotografie in 8 vetrine), con guida del Dottor Gerd Klaus Pinggera.

- Parrocchiale di Trafoi e Cappella di pellegrinaggio "Heilige Drei Brunnen" ("Tre Fontane Sacre").

- Esposizione di coppe mondiali, trofei e medaglie olimpiche di Gustavo Thöni nell’albergo "Bellavista" (Trafoi).

- Monumento eretto dall’Alpenverein (Associaz. Alpinistica) austriaca in onore della prima scalata sull’Ortles del 1804 (presso l’albergo "Weisser Knott").

Attività

- Tennis, presso gli impianti comunali di Stelvio.

- Tennis, presso la stazione a valle della seggiovia di Trafoi, aperto da giugno ad ottobre (prenotazione Caffè "Interski", tel. 611714).

- Percorso ginnico, punto di partenza dal sentiero n. 8 a Gomagoi e Stelvio paese.

- Percorso ginnico, punto di partenza dietro Hotel Madatsch di Trafoi.

- Pesca, nel vivaio di Trafoi (senza licenza statale) e nel torrente di Trafoi (con licenza).

- Nuoto, piscina coperta pubblica nell’hotel Madatsch di Trafoi, dalle ore 7.00 alle ore 19.00.

- Dancing: Stube nell’Hotel Madatsch, tel. 611767 / Taverna presso l’Hotel Posta, tel. 611799 (Trafoi).

Negozi

- Articoli misti, Tschenett Otto, tel. 611726

- Despar, Platzer Fritz, tel. 611727

- Articoli misti, Niederegger Andreas, tel. 611535

- Panificio Niederegger, tel. 611738

- Mini-Market Max & Moritz, tel. 611680 (Gomagoi)

- Panificio Pinggera, tel. 611720 (Gomagoi)

- Articoli elettronici Reinstadler, tel. 611796 (Gomagoi)

- Macelleria Tondelli, tel. 611772 (Gomagoi)

- Mini-Market e Sport Shop, Tschenett Elisabeth, tel. 611780 (Trafoi)

- Noleggio e servizio sci, noleggio mountain bikes, Angerer Ernst, tel. 611548 (Trafoi)

- Giornali italiani: Hotel Tannenheim, tel. 611704

Alberghi/Ristoranti - Caffè/Bar

- Stilfserhof, tel. 611740

- Madatsch, tel. 611767 (Trafoi)

- Traube, tel. 611751

- Post, tel. 611799 (Trafoi)

- Sonne, tel. 611750

- Tannenheim, tel. 611704 (Trafoi)

- Moser, tel. 611732

- Schone Aussicht, tel. 611716 (Trafoi)

- Gallia, tel. 611773 (Gomagoi)

- Ristorante montano: Furkelhutte (Trafoi)

- Gomagoierhof, tel. 611761

- Bar Tuckett, tel. 611722 (Trafoi)

- Trushof, tel. 611794 (Gomagoi)

- Pizzeria: Schöne Aussicht, tel. 611716 (Trafoi)

Ufficio Postale

- Orario d’apertura: lun.-ven., ore 8.10-13.30; sab. ore 8.10-11.50, tel. 611770 (Stelvio).

- Orario d’apertura: lun.-ven., ore 8.10-13.30; sab. ore 8.10-11.50, tel. 611769 (Trafoi).

Telefono Pubblico

- Davanti il Municipio (Stelvio).

- Vicinanze del caffè Interski e Hotel Madatsch (Trafoi).

Medico

- Ambulatorio

c/o Casa della Cultura, lun.-mer. ore, 9.00-11.30; ven., ore 14.00- 16.00, tel. 611711.

Biblioteca

- Casa della Comunità, aperto domenica ore, 10.00-11.00.

- Casa Parrocchiale del paese.

- Centro sistema alta Val Venosta, "Schlandersburg" (castello di Silandro), aperto lun. - gio., ore 9.00-12.00 / 14.00-18.00; mar. - mer. - ven., ore 9.00-18.00; sab., ore 9.00-12.00.

Banca

- Cassa Rurale, orario d’apertura: lun.-ven., ore 8.15-12.30 e 14.00- 15.00.

Sede Comunale

- 39020 Stelvio Paese, tel. 611739, fax 611570 (Frazioni: Solda, Trafoi, Gomagoi).

Funzioni religiose

(in lingua italiana con avviso locale)

- dom., ore 9.00; lun. mer. ven., ore 7.30; gio., ore 19.30; sab., ore 7.30 e 19.30 (Stelvio).

- dom. e festivi, ore 9.00 e ore 17.00; sab., ore 17.00 (Trafoi).

- Chiesa di Pellegrinaggio "Tre Fontane Sacre", ven., ore 17.00 (Trafoi).

Sci

alpino

- Impianti di risalita a Solda: Madritsch, Langenstein, Kanzel. Portata 9.400 pers./ora. 27 Km. di piste di ogni grado di difficoltà. Scuola/ corsi/ maestri di sci. Noleggio sci.

- Impianti di risalita a Trafoi: Portata 2.500 pers./ora. 10 Km. di piste di ogni grado di difficoltà. Scuola/corsi /maestri di sci. Noleggio sci.

di fondo

- Solda. 12 Km. di piste di modesta difficoltà. Noleggio sci.

slittino

- Trafoi. 5 Km. di pista naturale (modesta difficoltà). Noleggio slittini.

pattinaggio

- Solda. Tra dicembre e marzo.

 

 

(*) Museo di Stelvio Tematica: Stelvio e la sua storia (periodo preistorico, Medio Evo, Età Moderna, estrazione mineraria, agricoltura, turismo, usi e costumi)

 

"L’arco della formazione storica della nostra zona, si estende per oltre 4.000 anni. Sono ormai passati 800 anni dalla nascita del paese di Stelvio come comunità. Il fine di questa esposizione è la ricostruzione dello svolgersi della storia e mostrare i periodi che hanno segnato la crescita economica e sociale, culturale, religiosa e politica del nostro paese. Vengono presentate le seguenti tematiche: le prime tracce, colonizzazione, diritti della consuetudine, chiesa, periodi di calamità, guerra, mondo montano, usi e costumi. Le prime tracce risalgono all’Età del bronzo, ma è nel 1229 che Stelvio vede la luce della storia in un riconoscimento documentato. Da quel momento in poi inizia una intensa coltivazione degli altipiani, ed un uso dei boschi e dei pascoli, vengono dissodate nuove aree, e costruite le prime fattorie accanto a sorgenti d’acqua.

Già attorno al 1544 viene scritta una guida allo sfruttamento del bosco, del pascolo, acqua e sentieri. Nel 1614 Stelvio diventa una Parrocchia con Solda e Trafoi.

Artigianato, agricoltura ed estrazione mineraria divengono la maggiore entrata finanziaria per gli abitanti, fino a quando, a metà del secolo scorso, è stato scoperto all’alpinismo e successivamente al turismo, il gruppo dell’Ortles.

Ancora prima, nel 1862, un incendio distrusse due terzi del paese.

Industriandosi come "Schwabenkinder", venditori ambulanti e contrabbandieri con la vicina Svizzera, tanti abitanti di Stelvio, poterono superare questo periodo di calamità.

Stelvio è stato ricostruito ed il turismo a Solda e Trafoi, con l’artigianato e l’agricoltura, come entrata finanziaria secondaria, stanno tuttora dominando l’economia locale.

Sulla base di oggetti, documenti e materiale fotografico, con rispettive spiegazioni, oltre ad un concetto globale, vengono fornite idee sul mondo del lavoro e della vita, cultura e paesaggio di questa piccola comunità.

Vengono prese in esame, come necessarie in questo contesto, anche le frazioni appartenenti a Stelvio: Solda, Trafoi, Gomagoi, oltre a casali e fattorie."

 

34 - Trafoi: costruzione in legno, fienile

e rimesse per carri agricoli, anni ‘20.

 

*

 

APPENDICE

 

 

 

"Itinerari nel gruppo dell’Ortler"

 

*

 

"Occasione. Lo Stelvio"

 

*

 

BIBLIOGRAFIA

 

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- T.C.I., Guida d’Italia, Milano, 1976.

- T.C.I., Villeggiature montane, Milano, 1953.

- Ufficio Turistico Gruppo Ortles, Guida dei sentieri - Ortles - nel Parco Nazionale Stelvio, 1300-3400 m.

- Viaggio in Italia - Le Valli Altoatesine, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1983.

- WASCHGER, E., Chronologisch geordnete Daten für die Geschichte Stilfs nach Urkunden, Büchern etc. zusammen gestellt von H.W.

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- Lunz R.: Ur-und Frühgeschichte. in Dorfbuch Prad. 1997 (in stampa).

 

Per confronti:

 

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- Bianchi Bandinelli R.: Roma - la fine dell’arte antica. Milano 1988.

- Blanck H., Proietti G.: La tomba dei rilievi di Cerveteri. Roma 1986.

- Carino C., Leoni M., Panseri C.: Ricerche metallografiche sopra alcune lame etrusche di acciaio. in La tecnica di fabbricazione delle lame di acciaio presso gli antichi. (D.C.S.M.II) Milano 1957: p. 8-40.

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BIBLIOGRAFIA del capitolo "Chiese di Stelvio"

 

- Weingartner J.: Die Kunstdenkmäler Südtirols, Athesia-Tyrolia 1991-7, Bd. 2, S.868f.

- Schauber-Schindler, Heilige und Namenspatrone im Jahreslauf, Pattloch, 1992.

 

FOTOGRAFIE - DISEGNI

 

ALBERTI Alberto: 5, 6, 7, 8. DELLA ROSA Franco: n. 1, 2, 3, 9, 12, 14, 18, 26, 27, 28, 29, 32, 34. DELLA ROSA Jacopo: n. 35. DELLA ROSA Severino: 21. LOOSE Rainer: 10, 11. KUENZER Oswald: 19, 20, 22, 23, 24, 25. THÖNI Matthias: n. 4, 13, 15, 16, 17, 30, 31, 33.

* In neretto i disegni. * In corsivo le foto d’archivio.

 

*

 

INDICE

 

- INTRODUZIONE

. di Gustav Thöni pag. 5

- PRESENTAZIONE

. di Josef Hofer " 7

- PREFAZIONE " 9

- STELVIO " 11

- GEOLOGIA E AMBIENTE " 13

- ARCHEOLOGIA A STELVIO " 15

- LA STORIA DELLA VAL VENOSTA " 25

. Periodo retico " 25

. Periodo romano " 26

. Periodo dell’alto medioevo " 27

. Periodo tirolese " 27

. Particolari del medioevo " 27

. La guerra con i Grigioni " 28

. Altre guerre " 29

. Altre calamità " 31

- CODIFICAZIONE LOCALE DELLA

RISPETTABILE COMUNITÀ DEL

PAESE DI STELVIO " 32

. Introduzione " 32

. Breve compendio della storia di Stelvio " 33

. Insediamento e territorio agricolo di

Stelvio nel 1787 " 38

. Valutazione e confronto " 42

- L’EPOCA CONTEMPORANEA " 46

- LA STRADA DELLO STELVIO " 51

- PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO " 58

- STELVIO STATISTICA " 60

- LO STEMMA " 61

- CHIESE DI STELVIO " 62

- STRADE E VIE DI STELVIO PAESE

E MASI " 68

- I KLOSEN DI STELVIO " 72

- LEGGENDE " 81

. La leggenda del gigante Ortles / 1 " 81

. I topi di Glorenza " 83

. La balla di burro " 84

. La leggenda del gigante Ortles / 2 " 84

. I "salvans, le games, e l’orco" della ladinia " 85

- "MASO CHIUSO" E IDENTITÀ LADINA " 86

- MASI E DECORAZIONI " 87

- SALUTE: I BAGNI DI FIENO " 88

- I CUSTODI DELLA LIBERTÀ " 89

- ANDREAS HOFER " 90

- GUSTAVO THÖNI

Il leggendario campione di Trafoi " 92

*

- STELVIO INFORMAZIONI " 94

. Curiosità (museo) " 94

. Attività " 94

. Negozi " 94

. Alberghi/ristoranti - caffè/bar " 95

. Ufficio postale " 95

. Telefono pubblico " 95

. Medico " 95

. Biblioteca " 95

. Banca " 95

. Sede Comunale " 96

. Funzioni religiose " 96

. Sci " 96

 

- APPENDICE " 98

. Itinerari nel gruppo dell’Ortler " 100

. Occasione. Lo Stelvio. " 112

- BIBLIOGRAFIA " 134

- FOTOGRAFIE - DISEGNI " 136

- OPERE GIA’ PUBBLICATE

E IN PREPARAZIONE " 137

- PIEGHEVOLE ALLEGATO - STELVIO PAESE " 145

.Carta delle destinazioni d’uso

 

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Edito dal

GRUPPO RICERCA FOTOGRAFICA

 

dellarosa.f@gmail.com

 

 

Grafica Arch. Franco Della Rosa

 

Stampa: Tipolitografia Quatrini A. & Figli

Via S. Lucia, 43/47 -Viterbo

 

I Edizione - Marzo 1997

II Edizione-Maggio 1997

 

PER TROVARE LA BIBLIOTECA OVE CONSULTARE IL LIBRO:

https://opac.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/avanzata.jsp

 

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